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Embodiment / 1

Creato il 29 dicembre 2013 da Malvino

Anche se dobbiamo l’elaborazione del concetto a Melanie Klein (Notes on some schizoid mechanisms, 1946), che sviluppa ciò che Sigmund Freud aveva postulato già cinquant’anni prima (Weitere Bemerkungen über die Abwehr Neuropsychosen, 1896), la definizione più suggestiva di identificazione proiettiva è forse quella dataci da Ronald Laing: «The one person does not use the other merely as a hook to hang projections on. He strives to find in the other, or to induce the other to become, the very embodiment of projection» (Self and Others, 1969), che a mio modesto avviso ha il pregio di cogliere l’intrinseco del meccanismo di difesa di là dallo specifico che assume nei contesti in cui è più frequentemente osservato (figlio/madre, amante/amato, paziente/analista) e di porre laccento sull’elemento peculiare della strategia difensiva. In pratica – mi si consenta limmagine – l’identificazione proiettiva è il tentativo del soggetto di trovare ipostasi (embodiment), e in un oggetto grandioso, per lo più autorevole e protettivo, e in ciò rivela il tratto schizoide che lo mette in atto quasi sempre come procedura di riparazione, anche quando il meccanismo muove in ambito borderline o narcisistico (cfr. Betty Joseph, Projective Identification: clinical aspects, in: Joseph Sandler, Projection, Identification, Projective Identification, 1987).Ora, chi ha un po’ di consuetudine con questo blog sa bene che aprire un post con un incipit del genere è un modo per mettere le mani avanti: voglio sgombrare il campo da ogni notazione di natura moralistica nella descrizione di quello che altrimenti sarebbe da considerare vizio, preferendo rubricarlo come disturbo della personalità, intrattenendomi sulla noxa come espressione di un disagio, cercando di individuare i fattori che la generano, trattando il soggetto che sollevo a caso clinico con la delicatezza che è indispensabile usare col malato. Ma forse anche questo non basterà, e già immagino il lettore smaliziato subodorare: «Eccolo, starà per rifilarci lennesimo pippone su Pannella o su Ferrara». Sbagliato, stavolta è su entrambi. Intendo affrontare, infatti, la questione dell’identificazione proiettivache il primo mette in atto nei confronti di Bergoglio come il secondo ha fatto nei confronti di Ratzinger: mutatis mutandis, siamo dinanzi alla stessa narrazione clinica.Qui, però, occorre una precisazione:il concetto di identificazione proiettiva rende ragione dellunidirezionalità del processo, dando valore pressoché irrilevante a quanto nelloggetto si offra come valido pretesto allembodiment, che peraltro è messo in atto sempre in modo arbitrario, non di rado col ricorso a pratiche di manipolazione, come d’altrondeè inevitabile quando per oggetto si sceglie un papa, pretendendo risponda in tutto e per tutto alle esigenze del caso. In tal senso, possiamo rilevare che lunidirezionalitàdellidentificazione proiettiva trova in se stessa una garanzia di riuscita, a fronte di ogni resistenza che di fatto possa esser posta dalloggetto. Poco importa, dunque, quanto loggetto sia disponibile, quanto Ratzinger sia stato davvero caregiver di Ferrara e quanto Bergoglio lo sia di Pannella: l’attenzione va posta al perché il soggetto scelga un papa come oggetto.  

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