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Emidio Clementi – L’Ultimo Dio

Creato il 06 giugno 2012 da Carusopascoski

 “L’indifferenza è una maledizione legata al collo di tutti quelli che non hanno avuto il tempo di trasformare il fallimento in una svolta temporanea e affascinante della propria esistenza”

“L’Ultimo Dio” di Emidio Clementi è un libro che ho letto in una sola splendida maratona notturna dopo secoli di polvere sul comodino, polvere accumulatasi perchè alla fine pensavo, diffidente ed esigente: stai a vedere, alla fine anche Clementi si rivela il solito musicista che si prende troppo sul serio e finisce a scrivere libri mentre è fermo col gruppo. Non potevo permettermi questo con Mimì, non potevo perchè nella mia vita ci sono poche cose segnate da un incontro e separate in un prima e in un dopo quell’incontro, e questo è il caso dell’incontro del sottoscritto con “Lungo I Bordi” dei Massimo Volume, con testi come quello di “Fuoco Fatuo”. Fatemelo urlare ancora: “Leo, è questo che siamo?”
Sia chiaro però: questo libro non è un uragano, né la cronaca dello stesso come tante canzoni dei Massimo Volume, ma è un libro di uno che di uragani ne ha visti passare, sa riconoscerli, ed ha imparato come passarci attraverso, filtrando la gravità terrestre nei propri lamenti all’universo assente, deciso a raccontare il suo percorso a fratelli di apnea. E ancora, sia altrettanto chiaro: non è un capolavoro e non sarà mai un classico universale (come del resto, per motivi diversi, “Il Primo Dio”), ma è un libro asciutto, secco, pieno di sostanza e di vita, magistralmente dosato e diretto. E la vita di Clementi non è una vita banale, ma una di quelle vite in grado di testimoniarci tutti per il coraggio quotidiano nella caduta quanto nella risalita, una vita solcata irrimediabilmente da gesti e sguardi comuni, che più spesso invece che nei libri finiscono nella nettezza dei giorni. I gesti clamorosi sono pochi ma essenziali, mai retorici o ai fini della narrazione, ma sempre decisivi per la vita stessa di chi li scrive.

Questa autobiografia appassionante e viscerale, oltre che offrire i luoghi, le storie, gli sguardi essenziali che hanno segnato il percorso di formazione del Clementi leader dei Massimo Volume, è un libro sull’amore per Emanuel Carnevali, poeta italiano emigrato negli Stati Uniti, “che circostanze avverse vollero sottrarci” (Girolamo De Simone), che come un fantasma, appare e scompare pagina per pagina, avvicinandosi quasi fino a toccarsi con il narratore e protagonista (ci penserà Rigoni a stroncare ogni avvicinamento smaccatamente romantico).
Anche la scrittura sembra volersi fondere con quella di Carnevali, talvolta, come per alcune lapidarie sentenze cineree che mettono a fuoco il fulcro della narrazione o caratterizzano i personaggi. “Il Primo Dio” è però altro da “L’Ultimo Dio”: è un libro totalmente brutale (ma qui anche Clementi non è da meno) quanto necessariamente poetico (mentre la poesia, più che nel libro di Clementi, sta fuori da esso ed è in tutto ciò che l’autore racconta di inseguire, tratteggiandolo irrimediabilmente oltre se stesso sino all’incontro con la scrittura). Necessariamente poetico perchè se c’è una lezione che Carnevali ha riservato ai posteri, oltre che la oltraggiante bellezza della propria testimonianza, è questa: la necessità della poesia, a qualsiasi costo e condizione. Appena questa svanisce, compare la morte dell’anima, prima che quella fisica ed altrettanto irrimediabile. E questo è l’atto d’amore di Clementi a chi ha rappresentato il suo senso del poetico nei suoi giorni più bui e meccanici.

Se Carnevali è colui “che vuole essere ciò che al mondo manca”, Mimì ci ha raccontato come ha voluto essere ciò che mancava a se stesso, come infine ci è riuscito. Per questo forse traspare un filo di autocelebrazione manchevole del fascino pazzesco e delirante di Carnevali ed è forse comprensibile, perchè laddove quest’ultimo incanta oltre ogni misura con l’incendiara rivelazione della propria bellissima e disperata pazzia, Clementi soppesa, valuta, aggiusta i pesi relativi di un gioco a somma zero, quello del quotidiano e delle relazioni umane e familiari che ci unisce tutti e che è proprio ciò che rende invece Carnevali un alieno profetico e selvaggiamente meraviglioso, perchè Carnevali è oltre, ad abitare lo spazio del poetico. Ma questo Clementi lo sa, ed ecco dunque il maggior pregio della sua opera: la cronaca della ricerca del limite, visceralmente sincero, come uno specchio, “meglio di uno specchio”.


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