Carceri Giudiziarie di Roma. Cara ed amata mamma, ti scrivo mentre davanti a me ho ancora poche ore di vita. Mamma perdonami è un grande dolore che ti do; ma è il dovere che mi chiama. Vado morendo contento che un giorno ti rivedrò lassù pregherò il S.Cuore perché abbia a consolarti. Raggiungo il mio caro papà che mi attende. E’ il mio ultimo scritto, ma non ti accasciare, perdona il figlio che ha una brutta sorte. I miei fratelli mi vendicheranno e lo voglio da loro, muoio con ingiustizia. E a Roma riposeranno le mie ossa: questa città è stata delle mie sofferenze e la mia tomba. Da lassù ti guarderò e ti guiderò. La mano mi trema e non so più quello che dico. Ti chiedo ancora perdono. Muoio con due rancori; uno di aver dato ad una mamma un dolore, ma tu mi perdoni ed io muoio contento, l’altro di aver deluso una ragazza che tanto mi amava. E se un giorno la vedrai, lei ti racconterà di me. Ed ora termino perché l’ora si avvicina. Perdona, perdona, mammina; ti bacia e ti abbraccia per l’ultima volta il tuo Emilio, baci ai miei fratelli cari Ottorino e Carlo. Addio per sempre, mamma cara, il tuo EMILIO addio! (Emilio Scaglia -Medaglia d’Argento al Valor Militare, di anni 20, Guardia di Pubblica Sicurezza, fucilato con altri quattro compagni alla vigilia della liberazione di Roma, giugno 1944).
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CONTRO DENIGRATORI DELL’ITALIA
Stassi fra’ nembi torbida
Notte, e la neve il viatore inganna;
Fischiano i venti, e fiedono
Le quiete soglie della mia capanna.
Sorgiam: fra’ sassi ripidi
Face m’irradia nel temuto orrore;
Scuote nell’aer pallido
l’onnipossente face il patrio Amore.
Su questi lidi inospiti
Egli mi chiede il sospirato canto;
Dove la selva incurvasi
Meco discende, e si discioglie in pianto.
In questa valle, io d’ebano
Un’ara bruna all’alte Muse accesi,
E le ghirlande altissime
Di cipresso immortale intorno appesi.
Qui ‘l sacrificio a compiere
Ecco m’accingo fra le piante annose:
Scendete ai sacri cantici,
O d’Apolline Re vergini spose.
Del patrio amor la vindice
Domatrice de’ mostri alma faretra
Io qui depongo supplice,
E strali eterni la mia voce impetra.
Impuro labbro, o vergini
Muse, v’offende col protervo accento,
E dell’ingegno ausonico
Narra che il lampo eternatore è spento.
Immenso sdegno fremere
Or tutto sento nel profondo petto,
E a piè dell’are armoniche
Voi, sacre Muse, a vendicarvi aspetto.
Entro la notte gelida,
Che intorno cinge quel fatal sentiero,
Udrete l’alto sibilo
Ch’esce dall’arco dell’offeso arciero;
Mentre de’ lauri italici
Le sacre a vendicare ombre famose,
Voi scenderete ai cantici,
Voi d’Apolline Re vergini spose.
-Diodata Saluzzo-
dalla mia prigionia.
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