La prima sfida da affrontare è quella di uniformare i sistemi di misurazione dei differenti Paesi, per costruire un’unica rete capace di misurare i gas serra, di fornire un quadro dello status quo e di condividere le varie tendenze in atto.
Ad oggi, le foreste e la vegetazione europee permettono di filtrare circa 1100 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Tuttavia, le emissioni di metano e protossido di azoto prodotte dall’agricoltura coprono circa il 70% degli assorbimenti naturali.
In questo quadro, l’Italia rappresenta uno degli esempi più virtuosi: infatti, a fronte di 36 milioni di tonnellate di CO2 prodotte dall’agricoltura nostrana, il Belpaese presenta una capacità di assorbimento pari a 90 tonnellate.
Forse è proprio per questo che ci è stata affidata la guida della prima fase di ICOS, a riconoscimento dell’impegno dell’Italia in materia di abbattimento delle emissioni.
Un impegno testimoniato anche dal progetto pilota Ue inaugurato a Brindisi il 1 marzo 2011, dove nella centrale Federico II è entrato in funzione un innovativo impianto che, grazie alla tecnologia post-combustione, è in grado di evitare l’immissione nell’atmosfera di circa 8mila tonnellate l’anno di CO2.
Una sperimentazione che permetterà di maturare l’esperienza di progettazione e di esercizio degli impianti di cattura post combustione, e che avrà la prima applicazione industriale nella nuova centrale a carbone in progetto a Porto Tolle, in provincia di Rovigo.
Insomma, se nell’ambiente finanziario l’Europa ci vede come un potenziale pericolo, in quello della lotta alle emissioni siamo considerati come una delle nazioni più all’avanguardia. E scusate se è poco.