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Emma e John, i tycoon dell’ipocrisia

Creato il 24 agosto 2011 da Albertocapece

Emma e John, i tycoon dell’ipocrisiaForse non sono granché come imprenditori, ma alcuni prodotti li sfornano in grande quantità e a prezzi decisamente concorrenziali: ipocrisia e ricatti. Oggi il rosario padronal liberista è stato particolarmente intenso perché il caldo non perdona e anche perché vedono sempre più pericolante il “loro” governo, quello che quotidianamente fa di tutto per affossare diritti, per compromette i contratti nazionali, per dividere i sindacati, per abbassare salari. Come farebbero senza di lui? Capace che gli toccherebbe fare vera imprenditoria.

Ha cominciato la signora Marcegaglia che con quell’aria da mulino bianco avvelenato ha spiegato che i ricchi non possono collaborare a tamponare l’emergenza perché “già pagano troppe tasse”. Non so chi le abbia scritto questa gustosa battuta, ma non posso fare a meno di ammirare la faccia di tolla purissima della presidente di Confindustria, qualcosa che ormai si trova solo su marte. E già perché, a parte il ridicolo della proposizione generale, il gruppo Marcegaglia è proprio uno di quelli pizzicato dai magistrati con una rete di conti svizzeri alimentati per un decennio da fondi neri. Un consistente tesoretto, che secondo la ricostruzione degli inquirenti sarebbe stato utilizzato dalla famiglia della presidente di Confindustria per una lunga serie di operazioni riservate. Tra cui almeno una tangente milionaria a un dirigente dell’Eni per il quale è stato condannato il fratello della fatale Emma. Per non parlare dell’inchiesta sul padre Steno, implicato in una storia di smaltimenti illegali e dunque anche di illegali e nascosti guadagni. E via continuando con la gestione dell’ex arsenale della Maddalena e con una miriade di altre vicende giudiziarie sparse in tutta Italia.

La signora che legge al microfono i compitini scritti dai suoi segretari e chaperon, ha un bisogno disperato che il generoso mecenate della corruzione e dell’irresponsabilità rimanga sullo scranno di premier: il fatto che Confindustria e non la banda bassotti come sarebbe più plausibile, l’abbia scelta come presidente, significa  che non dev’essere l’unica a cercare salvagenti. Eppure di fronte a tutto questo il fatto che sia donna le evita in parte lo scatto di indignazione che le sue dichiarazioni dovrebbero suscitare. E questa è un’altra disgraziata ipocrisia, home made, da cui è afflitto il Paese, per cui ricco al femminile suona ancora socialmente neutro.

Più tardi, in giornata, è stata la volta di  John Elkann, fratello del geniale Lapo, presidente di Fiat, grande elettore di Marchionne, il quale gli ha spiegato che le auto hanno quattro o tre ruote e che in ogni caso si sarebbe informato meglio a Detroit. Il signorino Johnny, si è presentato dopo Montezemolo, al meeting di Cl a spiegare che la “Fiat – bontà sua – continuerà a fare auto, ma l’Italia deve decidere a sua volta se le vuole fare”. E decidere naturalmente significa sottostare ai diktat di maestro Marchionne, rinunciando persino alle proprie leggi. Forse è al fatto che finora gli operai potevano andare la toilette senza un permesso scritto e registrato da un notaio, se la Fiat è nella peggiore situazione di sempre con la più bassa penetrazione in Europa, praticamente assente dall’Asia, in crisi in Brasile e anche negli Usa. Dev’essere certamente così  il fato che la politica industriale e progettuale sia da molti ani evanescente, non c’entra nulla.

Al signorino Johnny vorrei dire che l’Italia le macchine le vuole produrre, possibilmente decenti, tanto che direttamente o indirettamente ha speso cifre gigantesche per aiutare la Fiat,  facendo persino in modo che non le entrassero dei concorrenti in casa. Mentre è la Fiat che da un trentennio non è stata all’altezza di questo desiderio. Senza questi aiuti forse oggi a John e Lapo toccherebbe  lavorare invece di doversi lamentare per le troppe tasse che pagano i ricchi.


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