Ancora una volta, ieri sera, un’amica mi dice: “Sto soffrendo tantissimo, vorrei leggere altro, ma devo finire quel romanzo sto leggendo. Anche se faccio fatica.”
Quel non-so-che per cui sembra che fai un torto a un romanzo, se non lo finisci. (Che fa, ti picchia?) Salvo poi avere il tempo contato per leggere e soffrirne.
Cari lettori, il martirio non vi si addice. Non quando professate la lettura un hobby, e vi fate solo del male a insistere su un dovere.
Tralasciando il fatto che è mia sensazione che molte delle letture che si vorrebbero interrompere ma non ci si decide derivano da acquisti “da-fare”, libri che faffigo acquistare ma che poi non è ti facciano proprio sbavare di voglia di leggerli o classiconi immensi che a un certo punto ti metti in testa di… tipo l’ultimo di Saviano – ma in quanti lo leggono, poi? -, l’Ulisse di Joyce, Moby Dick di Melville, l’autobiografia di tiziocaiosempronio…
Ma a parte ciò. Io parto dal presupposto che la mia mamma m’ha insegnato a non lasciare niente nel piatto e a finire gli spinaci senza fare storie. Ma è anche vero che quando esco fuori a cena, per diletto, non ordino gli spinaci.
E se ho tra le mani una schifezza evito di nutrirne troppo il mio cervello, allo stesso modo in cui se un piatto è intriso di burro ho pietà per il mio fegato (e le mie papille gustative).
Esempi (tra i tanti) di libri da me abbandonati senza rimorsi:
- I Malavoglia di Verga
- Gita al faro di Virginia Woolf
- I love shopping della Kinsella
- Breve storia di una piccola città di Thomas R. Pearson
- Gomorra di Saviano
- Warm Bodies di Isaac Marion
- Sulla strada di Kerouac
La cosa positiva dei libri non conclusi, perlomeno, è che quando qualcuno ne parla sai rispondere come se li avessi letti.