In Creed Rocky risorge dalla sua pigrizia nel suo locale italiano Adrian’s (non fa più né il pugile, né l’allenatore, il figlio è in Canada con la sua donna, Adriana è morta un paio di film fa e l’amico Paulie pure) grazie all’incontro con un vero combattente di sangue Creed.
Quella di Rocky è una saga, un’epopea, una storia epica capace di generare sequel tutti diretti dal mitico Stallone. Stavolta è un’altra storia: Creed tra il reboot e lo spin-off reinventa la storia del mitico Creed figlio di Apollo che come lui ha un nome tratto dalla mitologia classica: Adonis, interpretato da Michael B. Jordan. Questi miti ci ricordano quello shock ormai trentennale, dove un giovane Apollo, all’apice della sua carriera, viene brutalmente assassinato sul ring da un altrettanto brutale pugile russo. Tutti i presupposti ci fanno sperare in quel riscatto che solo dal figlio (peraltro illegittimo e preso con sé dalla vedova tradita, Phylicia Rashād, bravissima la signora Robinson, per tutti noi nati negli anni ’80) potrà essere compiuto sul ring. Insieme a un campione di sempre, amico e sfidante di Apollo negli anni d’oro, il mitico Italian Stallion, Sylvester Stallone, immortale protagonista indiscusso di questo grande cinema di genere, in questo film è bravissimo ed emozionante tra i cliché del personaggio e vecchiaia sopraggiunta – pur non essendo il protagonista ufficiale: cosi come è commovente sulla tomba di Adriana “amore mio” e dell’amico Paulie, morti a distanza di dieci anni l’una dall’altra, così è determinato con la preparazione del figlioccio ideale ritrovato, Adonis “Donnie”.
“Riscrivi la storia, ragazzo”, gli dice il vecchio “zio” Balboa e lui, in qualche modo, lo farà.
Riscatterà la storia di quell’Apollo sfidato tre volte da Rocky (la terza in segreto ci rivela Balboa), ucciso da un russo (in piena guerra fredda) e rimesso in pista per combattere come quando era piccolo e picchiava i bambini in riformatorio. Adonis conosce il padre solo attraverso le immagini di YouTube nelle quali Rocky sfida Apollo, perché è nato dopo la sua morte, e solo Rocky Balboa e la fidanzata accidentale – una cantante con progressiva perdita di udito, Tessa Thompson, già vista in Selma – saranno le sue guide spirituali e poi la sua famiglia. Alla fine dell’incontro, tra patetico ed emozionante, Creed ci ricorda un Rocky che ringrazia Adriana buonanima nel ringraziare la madre che da lontano lo segue in TV con dolcezza e apprensione.
Raccontarlo non serve, Creed come Rocky va visto perché Ryan Coogler – ventinovenne già regista di Prossima fermata Fruitvale Station – con lo stesso spirito del suo primo film che denunciava l’assassinio da parte di un poliziotto bianco di un ragazzo di colore ci fa rivivere nel suo spin-off versione black le emozioni con i clichè e i personaggi della saga di Rocky che a quanto pare, dopo Gilgamesh, l’Iliade e l’Odissea, toccherà studiare al liceo. E non scherzo.
Alessandra Lo Russo