Un libro con una decade sulle spalle, un film appena uscito, una storia di molto tempo fa. Torniamo in Germania, andiamo indietro sino ai tempi del nazismo, entriamo in casa di una coppia che ha appena accolto una bimba di 8 anni sotto il proprio tetto. Lei è Liesel e subisce da sempre il fascino di quei tomi con la copertina rigida, il profumo di vecchio e tutte quelle pagine in cui si susseguono parole, immagini e storie di altri.
La giovane impara tardi a leggere, ma da quel giorno non si fermerà più. Intorno a lei c’è solo tristezza e tragedia: l’orrore della guerra, il peso del regime, il dramma dell’olocausto. Con l’ascesa del nazismo (soprattutto dopo la Notte dei Cristalli) saranno molte le cose che Liesel non comprenderà – dalla repressione della cultura, alle persecuzioni, al reclutamento di parenti e amici – e saranno proprio i libri a darle inesauribile conforto per scongiurare e superare le continue perdite.
Ben Schnetzer e Sophie Nélisse in una scena del film
La quotidianità di questa bambina per anni sarà carica di tensione, i suoi sotterfugi diverranno ogni giorno più magici agli occhi di tutti e la sua vita riuscirà a essere intensa. Il film è diretto da Brian Percival, che ha attirato l’attenzione dei grandi grazie al lavoro svolto con la serie TV divenuta culto “Downtown Abbey”; il cast vede un manipolo di attori intensi, adusi a film lontani dai popcorn-movies; ma la protagonista è la vera scoperta di quest’opera: la giovane Sophie Nélisse ha due occhioni tremendamente espressivi che ben si conciliano con una curiosa divoratrice di libri e un’abile narratrice di favole.
La storia è tratta da un libro, “La bambina che salvava i libri”, scritto nel 2005 da Markus Zusak. Un best seller internazionale in arrivo dalla lontana Australia, dove il suo autore è cresciuto ascoltando i racconti di famiglia legati a una Monaco ai tempi della seconda Guerra Mondiale. Il romanzo strega i produttori al punto da spingerli subito a portare su grande schermo quelle pagine dedicate alla determinazione dell’essere umano, al potere della conoscenza, alla magia delle parole, all’importanza del libero arbitrio. Tutto è un tributo al sapere, alla parola e – soprattutto – un grande inno alla vita.
Sophie Nélisse, Emily Watson e Geoffrey Rush in una scena del film
L’idea di rendere un film quella storia che ha toccato tante persone a diverse latitudini, deve aver dato la spinta giusta a tutti perché l’opera finita sembra affermarlo a chiare lettere. La confezione è sobria, delicata, mai violenta, e non dimentica nulla. La recitazione è impeccabile e intensa. La ricreazione dei luoghi non è mai percepita come finta, di cartone e in procinto di crollare.
Ai miei occhi qualcosa manca, o meglio, a ogni nuova opera incentrata sulla seconda guerra mondiale personalmente fatico sempre più a percepirne il fascino, però comprendo i motivi per cui lo spettatore rimarrà facilmente intrigato da questa inconsueta storia di libri vissuta da una ragazzina mentre subisce tante, troppe, decisioni di grandi e potenti.
Vissia Menza