Seconda uscita di una serie di articoli dedicati alla storia del medium videoludico. Parliamo degli sparatutto in prima persona
Prima di cominciare la nostra storia degli sparatutto in prima persona (first person shooter in inglese, abbreviazione: FPS), è d'obbligo fare una veloce premessa: da Doom in poi è uscita una moltitudine impressionante di FPS. Sono talmente tanti che ci è stato impossibile citarli tutti. Abbiamo preferito concentrarci su quelli più rilevanti per la storia del genere. Ci dispiace se non abbiamo citato il vostro sparatutto preferito, ma l'esaustività non è cosa di questo mondo, quindi accontentatevi.
Detto questo, senza ammorbarvi ancora con le avvertenze, vi lasciamo alla lettura dello speciale, che speriamo vi sia utile per fare il punto della situazione sul genere e per scoprire da dove veniamo e dove stiamo andando.
Gli albori e i primi sparatutto commerciali
Le credenze popolari attribuiscono a id Software la paternità del genere degli sparatutto in prima persona con Wolfenstein 3D. La verità è molto più complessa e sfaccettata di quello che potrebbe sembrare. I primi due sparatutto in prima persona della storia non uscirono negli anni 90 e nemmeno negli anni 80. Per scoprirli bisogna andare ancora più indietro, fino al 1973.
Il primo FPS
Fu quello l'anno d'inizio dello sviluppo di Maze Wars, titolo multigiocatore molto rudimentale in cui i contendenti vagavano per labirinti minimalisti sparandosi addosso. L'azione era inquadrata in prima persona e ci si muoveva di una casella alla volta (stile Dungeons and Dragons) con rotazioni di novanta gradi, ma c'erano già alcuni degli elementi più caratteristici del genere: l'azione inquadrata in soggettiva e l'assenza della raffigurazione del proprio avatar sullo schermo. Lo sparatutto fantascientifico Spasim uscì invece il primo marzo del 1974. Viene anch'esso considerato il primo sparatutto perché non si conosce la data esatta di completamento di Maze Wars. Sviluppato da Jim Bowery per l'università dell'Illinois, Spasim permetteva a un massimo di trentadue giocatori di sfidarsi simultaneamente, divisi in quattro sistemi solari. Lo scopo era quello di eliminare gli altri affrontandoli nello spazio. Ogni giocatore era rappresentato da un'astronave in wireframe.
Purtroppo sia Maze Wars che Spasim non furono mai resi disponibili per il grande pubblico e rimasero esperimenti fruibili solo all'interno dell'ambiente universitario. Per trovare il primo sparatutto in prima persona commerciale bisogna fare un lungo salto e raggiungere il 1980, con l'uscita del coin-op Battlezone di Atari. A bordo di un carro armato futuristico il giocatore doveva combattere contro vari nemici su ampi scenari in grafica 3D wireframe. Anche in questo caso l'azione di gioco era inquadrata in soggettiva, ossia dall'interno del veicolo. Al centro dello schermo c'era un grosso mirino che permetteva di puntare i nemici. A contare erano soprattutto la velocità e la capacità di non farsi accerchiare. Il successo di Battlezone fu enorme e negli anni non sono mancati port, cloni e reboot.
A differenza di altri generi, quello degli sparatutto in prima persona non fu sviluppato con costanza negli anni ottanta. Il motivo è molto semplice e triviale: la tecnologia di allora non permetteva di andare molto oltre la grafica in wireframe, ossia in un 3D visivamente molto povero. Oltretutto alcune macchine non riuscivano a gestire neanche quello, rendendo impossibile proprio tentare la via della prima persona. Comunque non mancarono altri esponenti del genere, tipo MIDI Maze di Xanth Software F/X, pubblicato nel 1987.
Battlezone
Lo ricordano in pochi perché ebbe la sfortuna di uscire su Atari ST, computer dal successo discreto, e di essere piuttosto anonimo nello stile; gli autori volevano realizzare un Pac-Man inquadrato in prima persona in cui i giocatori potevano spararsi addosso. C'erano i labirinti, c'erano le palle con occhi e c'era l'inquadratura in soggettiva. MIDI Maze fu anche il primo FPS commerciale a proporre una modalità multiplayer giocabile mettendo in rete fino a sedici computer, collegabili tramite un'interfaccia MIDI.
Nello stesso anno Incentive Software pubblicò Driller su Commodore 64, primo gioco a usare il motore grafico full 3D Freescape. Parliamo di un titolo dal framerate oggi improponibile, molto più adventure che sparatutto, che però aveva alcuni elementi in comune con il genere di cui stiamo parlando, a partire dall'inquadratura dell'azione in soggettiva e dalla possibilità di sparare ad alcuni nemici, puntandoli con il mirino al centro dello schermo, per disattivarli. Lo stesso discorso è fattibile per altri giochi realizzati con lo stesso motore grafico, tra i quali Total Eclipse e Castle Master, anch'essi adventure, ma con qualche momento da sparatutto.
MIDI Maze
id Software incontra Looking Glass
id Software arriva al genere degli sparatutto in prima persona con un titolo uscito ben prima di Wolfenstein 3D. Siamo nel 1991 quando viene pubblicato Hovertank 3D per MS-DOS.
Hovertank 3D, il primo sparatutto in prima persona di id Software
Il dream team che negli anni seguenti produrrà tanti capolavori è già quasi al completo: Tom Hall, John Carmack, John Romero e Jason Blochowiak partono dal concept di Battlezone per sperimentare una nuova tecnologia di ray casting che consente di velocizzare enormemente l'azione rispetto alla concorrenza. Anche qui si guidano dei carri armati futuristici, ma viene aggiunta la possibilità di salvare dei prigionieri e i livelli sono molto più labirintici del titolo di Atari.
Il 1992 porterà un'innovazione determinante nel mondo dei videogiochi che influenzerà tutta l'industria: i PC sono diventati così potenti da permettere l'introduzione delle texture nella grafica 3D. La prima software house a farlo fu Looking Glass Studios, che pubblicò sotto etichetta Origin Systems, la software house di Richard Garriott, Ultima Underworld: The Stygian Abyss. Anche se si trattava di un gioco di ruolo è comunque un titolo importante per la storia degli FPS, perché motivò John Carmack di id Software, che rimase profondamente affascinato dalla demo di gioco vista durante il CES del 1990, a realizzare un sistema di mappatura delle texture più potente e veloce. Nasce così Catacombs 3-D, che in realtà viene pubblicato prima di Ultima Underworld, ossia nel 1991, e che porta altre innovazioni determinanti per il genere degli FPS, come le mani e le magie del protagonista visibili sullo schermo. Nasce anche il mito di John Carmack e del suo amore per le sfide tecnologiche. In fondo, come ammetterà lui stesso qualche anno più tardi, dei videogiochi gli era sempre interessato poco. Li vedeva come un modo per sperimentare, più che come un fine specifico.
Il 1992 sarà l'anno determinante per il genere degli sparatutto in persona anche per un altro motivo. Sarà in quell'anno che uscirà il gioco che ha dettato i canoni del genere negli anni a venire e che ha lanciato id Software nell'olimpo degli sviluppatori.
Wolfenstein 3D
Wolfenstein 3D esce il 5 maggio 1992 per sistemi MS-DOS. Ispirato da una serie di giochi d'azione degli anni 80 di Muse Software, formata da Castle Wolfenstein e Beyond Castle Wolfenstein, fu il primo grande successo di id Software. Per molti anni è stato considerato il padre degli sparatutto in prima persona. Come abbiamo visto si tratta di un'informazione falsa, ma d'altro canto ha dei grossi meriti che vanno sottolineati. Il primo fu quello di rendere il genere popolare (forse fu proprio per questo che gliene fu attribuita la paternità), anche grazie alla sua distribuzione sotto forma di shareware, che consentiva ai giocatori di provare il primo capitolo completo (si parla di ben dieci livelli che garantivano molte ore di gioco) per poi scegliere se comprare o meno la versione completa. Il protagonista del gioco era William "B.J." Blazkowicz, spia alleata che doveva fuggire dal castello di Wolfenstein, una prigione fortezza dei nazisti.
Wolfenstein 3D aveva già tutto: grafica all'avanguardia, azione rapida, un ricco arsenale da sfruttare per abbattere i nemici, livelli labirintici in cui erano sparsi rifornimenti e segreti, boss e così via. Le armi erano ben visibili sullo schermo e la stessa progressione con cui venivano acquisite diventerà un archetipo del genere: si partiva con un coltello e una pistola, armi molto deboli, efficaci solo contro i nazisti base, per poi trovare un fucile, delle mitragliatrici e un lanciamissili. Una delle meccaniche di gioco richiedeva la ricerca di munizioni, che servivano per non rimanere a secco negli scontri più duri. Furono introdotti anche i classici medikit che permettevano di recuperare la vita perduta. Il motore grafico di Wolfenstein 3D, che in realtà non era in vero 3D, fu utilizzato per un altro videogioco uscito nel 1993, Blake Stone: Aliens of Gold di Jam Productions, che introdusse le texture sul pavimento e sul soffitto e qualche piccola novità cosmetica, come i briefing a inizio missione o gli scienziati con cui parlare.
All'epoca non ci si interrogò molto sui limiti del motore di Wolfenstein 3D (chiamato semplicemente Wolfenstein 3D engine), che erano comunque parecchi. Il più evidente era che i livelli venivano sviluppati solo su un asse, risultando completamente piatti. Il secondo erano i personaggi non modellati in 3D, che erano formati da delle immagini bitmap orientate sempre verso il giocatore (in modo da dissimularne la natura di sprite). Alcuni di questi problemi saranno attenuati da altri sviluppatori che faranno uso dello stesso motore (su tutti quelli Rise of the Triad, pubblicato nel 1994), ma lo step successivo dell'evoluzione degli sparatutto in prima persona si avrà con il nuovo titolo di id Software, che spazzerà via ogni concorrente.
Doom e i suoi figli
La versione shareware di Doom venne pubblicata nel 1993. Il motore grafico è un'evoluzione di quello di Wolfenstein 3D. La resa visiva per l'epoca era davvero eccezionale: non più livelli piatti e monotoni, ma mappe sviluppate nello spazio con dislivelli, scale e baratri da superare. I nemici erano ancora delle bitmap, ma in generale era aumentata la qualità delle texture, che rendevano molto meglio di quelle di Wolfenstein 3D e di tutti gli altri FPS sul mercato. Doom non fu una rivoluzione solo dal punto di vista tecnologico, ma anche da quello culturale, diventando iconico di un certo modo di concepire il medium videoludico e oggetto di moltissime polemiche per i suoi contenuti violenti. Diviso in tre episodi formati da nove livelli ognuno (un quarto episodio sarà aggiunto nel 1995 con una versione aggiornata chiamata The Ultimate Doom), raccontava la storia di un anonimo marine spaziale, il cosiddetto "Doomguy", che doveva vedersela con orde demoniache alla conquista di Marte. Le innovazioni portate da Doom furono così tante che meriterebbero uno speciale a parte. Tra queste spiccano sicuramente la nascita del multiplayer online competitivo, con l'introduzione della modalità "deathmatch", innovativa sia in termini di gameplay che lessicali (da id Software usciranno moltissimi termini che entreranno nel gergo comune dell'online, come "frag" o "deathmatch" stesso); la possibilità data agli utenti di modificare liberamente il gioco tramite archivi di dati chiamati "WADs", sdoganando di fatto i modder come figure chiave per la sopravvivenza di un videogioco oltre la sua vita commerciale; e la sedimentazione definitiva degli archetipi del genere introdotti da Wolfenstein 3D.
Doom fu anche molto altro. Visto l'immenso successo del titolo di id Software, ampliato dall'uscita del seguito uffiicale nel 1994, Doom II: Hell on Earth, tutte le grandi software house (ma anche quelle piccole) si affrettarono nella realizzazione di cloni, spesso poco riusciti. Doom era diventato un punto di riferimento per tutta l'industria, vuoi perché aveva smosso numeri mai visti prima (si parla di più di 10 milioni di videogiocatori, tra la versione shareware e quella definitiva), vuoi perché aveva mostrato la vera potenza dei PC come macchine da gioco. Era il gioco da avere e da imitare.
Marathon fu il prototipo di Halo, anche a livello di design del mondo di gioco
Sulla scia di Doom nacquero titoli importantissimi come Marathon, sviluppato da Bungie nel 1994 per Macintosh. Sì, è proprio la Bungie che qualche anno più tardi riuscirà finalmente a rendere il genere digeribile su console grazie ad Halo: Combat Evolved (di cui parleremo più avanti). In questa fase notiamo che la cura di Bungie per i sistemi di controllo, il vero punto di forza di tutti i suoi giochi, era grande sin da allora: Marathon introdusse infatti novità come la mira verticale e il freelook, oltre al fuoco secondario delle armi e alcune nuove modalità multiplayer (King of the Hill su tutte). Bungie inserì anche dei personaggi non giocanti amichevoli e, a differenza di id, curò maggiormente il lato narrativo (la trama di Halo riprenderà in parte quella di Marathon).
Altro figlio nobile di Doom fu Star Wars: Dark Forces (1995) di LucasArts, primo di molti sparatutto in prima persona ambientati nell'universo creato da George Lucas (ora in mano a Disney). Tra le novità che introdusse spicca sicuramente la possibilità di inginocchiarsi. Il seguito, Dark Forces II: Jedi Knight (1997) fu anche il primo a offrire un gameplay non lineare, grazie alla simulazione di poteri Jedi che permettevano di affrontare i livelli in modi diversi, e dei grandiosi combattimenti con la spada laser.
Infine, il 1996 è l'anno dell'ultimo figlio nobile di Doom: Duke Nukem 3D di 3D Realms. Creato con il motore grafico build, fu sicuramente il più avanzato sparatutto in prima persona con nemici bidimensionali. Terzo capitolo di una trilogia, di cui i primi due episodi erano dei platform 2D, Duke Nukem 3D non introdusse che poche innovazioni nel genere, su tutte la presenza di elementi dello scenario distruttibili. A fare davvero la differenza fu il protagonista, Duke Nukem, un macho trash dalla battuta volgare facile che riuscì a stregare i videogiocatori e si affermò per il suo indubbio carisma, aiutato anche da un level design più vario e articolato di quello degli altri giochi citati. Dal punto di vista grafico era un prodotto molto avanzato, ma se ne accorsero in pochi, perché lo stesso anno uscì il nuovo gioco di id Software...
Il terremoto Quake
Poche settimane dopo l'uscita di Duke Nukem 3D, arrivò sul mercato Quake, il nuovo gioco di id Software. Il balzo in avanti in termini grafici rispetto alla concorrenza fu immenso, soprattutto grazie al motore full 3D (il Quake Engine). Nonostante l'anno prima Parallax Software avesse pubblicato Descent sotto etichetta Interplay, sparatutto completamente 3D in cui si guidava un astronave dentro intricati labirinti tridimensionali pieni di nemici, fu Quake a catalizzare l'attenzione del pubblico per le sue virtù tecnologiche.
Per Quake sono stati prodotti migliaia tra mod e total conversion
Niente più sprite per nemici, ma modelli 3D ultradefiniti (per l'epoca). Lo sfruttamento intensivo dei controlli mouse + tastiera, con l'introduzione nativa del sistema di controllo WASD, che sostituì lo strafe (movimento laterale) alla rotazione dell'asse X, affidando l'orientamento della visuale al mouse, sistema scoperto grazie alle competizioni multiplayer, permise di aumentare il ritmo dell'azione a dismisura . I nemici erano più rapidi e intelligenti, le mappe erano sviluppate con maggiore attenzione per la varietà e le armi erano ancora più spettacolari. Come Wolfenstein 3D e Doom, anche Quake introdusse molte novità, soprattutto a livello tecnologico. Fu uno dei primi giochi a supportare l'accelerazione 3D tramite librerie OpenGL, favorendone la diffusione capillare (i primi acceleratori 3D non erano integrati nelle schede grafiche e andavano acquistati a parte). Con Quake si iniziarono anche a diffondere i primi software per trovare server di gioco liberi, che diverranno la regola in tutti i videogiochi multiplayer, e anche la scena modder fu particolarmente ispirata dal nuovo motore (Team Fortress e Capture the Flag vi dicono qualcosa?). Tanto per dire, ancora oggi escono mod e total conversion realizzate con il motore di Quake.
E il mondo console?
GoldenEye 007, lo sparatutto d'oro dell'epoca Nintendo 64/PlayStation
Vi sarete resi conto da soli che finora abbiamo parlato di giochi esclusivi per PC. Non è un mistero che prima di Halo per Xbox il mondo console ha avuto pochissimi sparatutto in prima persona degni di nota. I motivi sono molto semplici: scarsa potenza di calcolo e controller scomodi per il genere. Non per niente i migliori FPS console uscirono su Nintendo 64, che aveva un joypad diverso da quello di tutte le altre macchine. Ricordiamo ad esempio GoldenEye 007 (1997) di Rare Software, il titolo per Nintendo 64 più venduto negli Stati Uniti, oppure Perfect Dark (2000), guarda caso sempre sviluppato da Rare. Anche la prima PlayStation ebbe qualche rappresentante del genere decente, tra cui i port di Doom e Quake 2, i Medal of Honor (forse i migliori del genere sulla console Sony), o Jumping Flash, il più originale e peculiare del mucchio, anche se storicamente poco rilevante. Di innovazioni, comunque, nemmeno a parlarne. Diciamo che gli sviluppatori provavano a far digerire al pubblico console un genere che il joypad sembrava castrare inesorabilmente. Per rendere giocabili i port, gli sviluppatori dovevano ricorrere a trucchi come il fuoco ritardato dei nemici, per dare al giocatore il tempo di mirare, oppure l'appiattimento dei livelli, per limitare i movimenti della telecamera sull'asse Y. Insomma, gli FPS su console si lasciavano giocare, ma si perdeva tutta la velocità dell'azione resa possibile dall'accoppiata mouse + tastiera, al punto che molti titoli avevano un gameplay goffo e dall'appeal limitato rispetto alla controparte PC.
L’arrivo di Epic Games e la diversificazione
Il primo Unreal ha fatto cadere più di qualche mascella
L'anno di Quake 2 è anche l'anno dell'ingresso nel genere di un attore che con il tempo diventerà importantissimo: Epic Games, che diede in pasto al pubblico il primo, stupefacente Unreal. Unreal spiccava soprattutto per le virtù grafiche e per l'intelligenza artificiale dei nemici, mentre per il resto le innovazioni erano praticamente nulle, a parte un timido tentativo di uso di sequenze scriptate. Epic fu la prima società a competere e superare id Software dal punto di vista tecnologico, scatenando una competizione di motori grafici che si accentuerà con il duello tra gli sparatutto multiplayer Unreal Tournament e Quake III Arena nel 1999, il primo basato su una versione migliorata del motore di Unreal, il secondo sull'id Tech 3, che ebbe il merito di introdurre le superfici curve nel mondo dei videogiochi.
Non potendo competere con id ed Epic dal punto di vista tecnologico, molti sviluppatori mirarono alla diversificazione, che nell'anno di uscita di Quake 2 (1997), inizia a vedere le prime contaminazioni. È il caso del mai troppo compianto Tom Clancy's Rainbow Six del 1998, sparatutto tattico di grande spessore orientato alla simulazione delle azioni dei corpi speciali, in cui le missioni andavano pianificate con grande cura prima di essere giocate. Sempre di quegli anni è l'arrivo del primo Medal of Honor (1999), che citiamo di nuovo perché avviò il filone degli sparatutto militari, nel caso specifico l'ambientazione era la Seconda Guerra Mondiale, che oggi vanno per la maggiore.
Tribes, il primo sparatutto solo online con mappe ampie
Nel 1998 esce Starsiege: Tribes, primo sparatutto esclusivamente multiplayer che permetteva match tra più di 32 giocatori. Tra le novità introdotte nel genere spiccano il gameplay basato sul gioco di squadra, la specializzazione delle classi e il jet pack utile per svolazzare sulle ampie mappe. Sempre nel 1998 esce Thief: The Dark Project di Looking Glass Studios, di cui parleremo più diffusamente in un altro capitolo dell'enciclopedia dedicato al genere degli stealth game. Nel 1999 esce System Shock 2, altro ibrido di lusso che prosegue la strada tracciata dal precedente episodio, datato 1994, mescolando sparatutto in prima persona e gioco di ruolo, ma aggiungendo al mucchio anche forti elementi stealth. Tornando a parlare di multiplayer, è di questi anni la pubblicazione della prima versione della mod Counter Strike per Half-Life, che darà vita al genere degli sparatutto tattici online e che contaminerà una quantità immensa di altri titoli, visto il suo immenso successo.
Insomma, nel giro di pochi anni si sono concentrate una grande quantità di uscite importantissime, i cui frutti sono vivi ancora oggi. Tra i molti titoli pubblicati, il più rilevante in assoluto, quello che porterà l'ultima innovazione storicamente determinante per il genere, è anche quello su cui meno la stampa aveva scommesso. In fondo, cosa avrebbe potuto mai fare la piccola Valve in confronto al gigante id Software?