Mi è capitato, anche piuttosto frequentemente, di leggere critiche più o meno velate ad questa o quella casa editrice per la pubblicazione di un’ora giovanile di un autore di successo. Con la tastiera sporcata da una certa supponenza e da un atteggiamento al limite dello snob, tali pubblicazioni venivano bollate come semplici “operazioni commerciali”, dimenticando – tra le altre cose – che una casa editrice é anche un’impresa, è come tale deve puntare al raggiungimento di un utile che ne garantisca la sopravvivenza e, di conseguenza, la possibilità di pubblicare tutti i libri che ci piacciono tanto.
C’è di più: salvo in casi molto specifici (ne ho in testa uno ma non lo confesserò neppure sotto tortura), queste forme di riscoperte di opere giovanili MI PIACCIONO. Sarò brutale, ma mi vengono in mente due pensieri che possono seguire la lettura del romanzo giovanile di un autore cha apprezzo: se si dovesse trattare di una mezza vaccata, il risultato sarebbe consolante (“ok, non si é sempre trattato di un genio, c’è speranza per tutti”). Viceversa, se il risultato dovesse essere convincente, si sarà potuto approfondire il percorso compiuto da un autore, quella strada cosparsa di frasi e parole che lo hanno condotto alla scrittura di un nostro romanzo-culto. Insomma, si trionfa in ogni caso.
Nonostante si tratti di un autore che, anche per le sue origini, è davvero molto amato in Italia, è piuttosto recente la pubblicazione nel nostro paese di “End zone“, secondo romanzo di Don DeLillo datato addirittura 1972. E siamo nettamente nel secondo dei due possibili scenari che ho descritto: in una sua forma che risente certamente della maturità non ancora raggiunta, il giovane DeLillo ci dimostra come già nelle sue prime prove narrative fossero presenti tematiche e colori che ne contraddistinguono le opere successive, primo fra tutti quel gran capolavoro edito con il titolo “Underworld”.
“End zone” può serenamente ricadere all’interno della gioiosa tornata dei cosiddetti romanzi di formazione: il protagonista, Gary Harkness, é un giovane originario dello Stato di New York, che per una serie di vicissitudini è finito in un piccolo college del Texas a cercare di risollevare le sorti della squadra locale, una realtà certamente lontana dalle più titolate università americane.
Don DeLillo – (c) Thousandrobots @ Wikipedia / Flickr
E’ l’occasione per una proposta narrativa francamente interessante: non ne ho la certezza, ma immagino che le squadre di football americano non pullulino di appassionati di letteratura e filosofia, e costituiscano un universo in cui gli interessi culturali inseguono di chilometri la passione per le cheerleader e quella per i superalcolici. DeLillo gioca su questa immagine stereotipata e crea un gruppo di amici e giocatori abituati (anche) a ragionar di filosofia e poesia, con legami che ricordano vagamente quelli da “Attimo fuggente” e che si rivolgono però essenzialmente al presente storico. Così, il football diventa una perfetta metafora della guerra (il Vietnam era ancora nei pensieri degli americani), le paure adolescenziali si riflettono nei timori di un olocausto nucleare (siamo in pienissima contrapposizione dei blocchi occidentale e sovietico), il coach – un mezzo spostato che vive in una torre che domina il campo di gioco – si chiama Creed (“Credo”).
C’è molto, davvero molto del DeLillo maturo. C’è tanto de “L’uomo che cade”, romanzo esemplare del sentire USA post 11 settembre. C’è tutto il percorso di un autore ancora in nuce, ma già grandissimo.
Alfonso d’Agostino
SCHEDA LIBRO
Autore: Don DeLillo
Titolo: End Zone
Traduzione: Federica Aceto
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Pagine: 243
ISBN: 978-8806198473
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