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Ending Note

Creato il 31 ottobre 2011 da Makoto @makotoster
Ending NoteEndingu nōto (エンディングノート, Ending Note). Regia, soggetto, fotografia, musica, montaggio: Sunada Mami; suono: Tsurumaki Yutaka; produzione: Koreeda Hirokazu, Nishikawa Asako per Bandai Visual; durata: 90'; uscita nelle sale giapponesi: 1 ottobre 2011.Link: Sito ufficiale - Nicholas Vroman (a page of madness)PIA: Commenti: 4/5   All'uscita della sale: 81/100 Punteggio ★★★1/2  
Ending Note (Death Of A JapaneseSalesman) èl’opera d’esordio della giovane regista Sunada Mami. Il film, presentatoall’ultimo Festival di San Sebastian nella sezione “Zabaltegi-New Directors”, èprodotto da Koreeda Hirokazu, con il quale Sunada Mami aveva precedentemente collaboratocome assistente in Aruitemo aruitemoe Kūki ningyō. Sitratta di un documentario che riprende gli ultimi mesi di vita del padre,Sunada Tomoaki, classico businessman giapponese, completamente dedito al lavoroed alla società per la quale ha svolto la sua attività per oltre 40 anni. All’etàdi 67 anni, poco dopo essere andato in pensione, gli viene diagnosticata unamalattia incurabile con un’aspettativa di vita di pochi mesi. L’approcciodell’uomo è pragmatico, come probabilmente in ogni cosa della vita fino a quelmomento, al punto da pensare come organizzare il proprio funerale. Lo sguardodella figlia è amorevole, ma non biecamente sentimentale, come un argomento delgenere forse indurrebbe a scegliere. Certo, i temi sono quelli impegnatividella preparazione alla morte, del dolore della perdita delle persone care, mala regista riesce con tocco leggero, ma efficace, a far emergere anche il latoumoristico del padre, se pur in una situazione così grave (come quando Tomoaki decidedi diventare cattolico e partecipa ad un incontro abbastanza surreale con unprete per avere spiegazioni al riguardo). Avvalendosi anche dei diari delpadre, dei quali legge in voice overalcune parti, riesce, mi sembra, a farne in sostanza un inno alla vita,all’importanza dei rapporti e alle cose fondamentali dell’esistenza che spessopassano inspiegabilmente in secondo piano, come dire ti amo alla propria moglieo andare a fare un viaggio con la propria famiglia.   “Illavoro era la mia vita” svela Sunada Tomoaki alla macchina da presa: la stessaaffermazione, nel contesto in cui è espressa, non fa che confermare quel sensodi nostalgia dell’uomo per ogni momento altro dal lavoro, soprattutto con isuoi cari, di cui forse solo in quel momento è pienamente consapevole, e chesarà di lì a poco perso per sempre. L’uomo si presta di buon grado alle ripresedella figlia, lei confessa che “la macchina da presa è stata il modo peraffrontare” la tragedia, ma in ogni caso le immagini non sono pervase, a mioavviso, solamente dal senso tragico, traspaiono piuttosto l’emozione el’affetto nei confronti del genitore. Ai momenti tipicamente documentaristicisi alternano foto di famiglia e filmini provenienti sempre dall’archiviofamiliare; su tutto la voce della regista che legge stralci dei diari del padrecontenenti riflessioni e anche accenni diretti a lei, in una fusione toccantedi immagini e parole. Dopoi discorsi, i sorrisi, le lacrime (del protagonista, dei familiari), dopo ilmomento doloroso del distacco, il film si conclude con un’intensa “soggettiva”dal carro funebre, in completo silenzio. L’ho trovata un’opera di profondasensibilità, e che fa riflettere.[Claudia Bertolè]

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