Enea Silvio Piccolomini testimone illustre dell’avvento della stampa
La Bibbia delle 42 linee, Gutenberg e la storia delle origini della stampa godono ormai di ampie bibliografie, sebbene presentino ancora oggi diversi aspetti oscuri (e tali molti rimarranno).
Un piccolo tassello, poco ricordato, di queste straordinarie vicende è costituito dalla lettera di Enea Silvio Piccolomini (futuro papa con il nome di Pio II) al cardinale Juan de Carvajal.
All’epoca legato pontificio in Germania, in data 12 marzo 1455 Piccolomini scrive da Wiener Neustadt raccontando di avere in precedenza incontrato a Francoforte un uomo «eccezionale» («mirabilis»). Non viene specificato il nome: possiamo ipotizzare fosse Johann Fust, se non Johann Gutenberg stesso. Mica due nomi da poco: Johann Gutenberg viene oggi comunemente indicato come l’inventore del processo di stampa a caratteri mobili mentre Johann Fust come il di lui principale finanziatore. Nella lettera si legge infatti che Piccolomini ha assistito a quella che potremmo chiamare un’esposizione della Bibbia delle 42 linee.
Non vidi biblias integras, sed quinterniones aliquot diversorum librorum, mundissime ac correctissime litterae, nulla in parte mendaces, quos tua dignatio sine labore eb absque berillo legeret.
Piccolomini non vide delle Bibbie intere, bensì i diversi libri del testo sacro divisi in fascicoli, i cui caratteri (stampati!) appaiono nitidi e correttissimi, privi di errori o sbavature, facili da leggere senza fatica e senza lente. Pur senza parlare esplicitamente della tecnica della stampa, Piccolomini ne coglie una caratteristica importante: essa offre al lettore un documento i cui caratteri sono straordinariamente leggibili, nitidi (effetto anche della particolare composizione dell'inchiostro utilizzato per la stampa, diverso da quello della scrittura manuale) nonché rigorosamente uguali l'uno all'altro poiché prodotto di una realizzazione seriale. Successivamente Piccolomini fornisce altri dettagli circa la quantità di copie stampate (158 secondo alcuni, 180 secondo altri) e sostiene l'impossibilità, essendosi mosso tardi, di poterne procurare una al cardinale spagnolo.
I primi libri a stampa cercavano di imitare fedelmente la resa grafica del manoscritto, loro modello di riferimento; molto più numerosi appaiono gli elementi di continuità tra incunaboli e manoscritti rispetto a quelli di rottura. Diverso è il metodo di riproduzione del testo: non era più necessaria una paziente e lunga operazione di scrittura per avere in mano una copia. Come per i manoscritti anche nel procedimento di stampa alcune porzioni di testo venivano semplicemente lasciate bianche, affinché il compratore potesse “personalizzarle” come meglio credeva, facendo ad esempio disegnare a mano i capilettera o altre decorazioni e comporre i fascicoli nella rilegatura desiderata.
Pur a fronte della continuità grafica tra manoscritti e incunaboli, all’apparire dei primi libri realizzati con la nuova tecnica qualcuno più attento di altri notò lievi ma immediate differenze. Piccolomini ci tramanda un semplice commento: s'è imbattuto in un uomo che vendeva carte della Bibbia dotate di non comune leggibilità. Con il senno di poi, oggi possiamo parlare di conseguenze grafiche della stampa meccanica, di produzione seriale dei tipi: ma davvero le parole “potresti leggerle senza fatica e senza lente” testimoniano, forse neppure in maniera consapevole, i primi passi di una rivoluzione.