Enel e la retorica della maternità

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Mi sono imbattuta di recente nella nuova campagna Enel 2012 “Quanta forza c’è in un attimo” e visionando i tre spot ho potuto costatare che gli stereotipi e le categorizzazioni di genere non hanno fatto un passo in avanti rispetto a cinquant’anni fa neppure in questo caso.

Il primo soggetto ritrae un uomo che esce da lavoro all’alba. La moglie servizievole gli prepara la colazione. Una presenza quest’ultima in totale abnegazione, che sta “dietro le quinte”, e nella quale l’uomo cerca supporto per la sua vita. Una rappresentazione della donna che ancora una volta ricopre l’unico ruolo di cura domestica e si fa da parte come una formichina coscienziosa che giorno dopo giorno opera mestamente in casa per permettere all’uomo di lavorare in una classica, e ormai sempre più bisognosa di modernizzazione, concezione rigida dei ruoli familiari.

L’uomo dal canto suo si rivede nel figlio e lavora strenuamente per lui, per assicurargli un futuro. Ed ecco alla fine il momento fatidico aspettato per tutta la vita: il figlioletto (maschio, guarda caso) stringe la mano al presidente della commissione il giorno della sua laurea.

Il secondo soggetto vede come protagonista un giovane ragazzo con la passione per la BMX.

Ovviamente allena i muscoli, segue i campioni della sua disciplina, suda, assapora la terra e il dolore. Investe in qualcosa a cui tiene molto, un suo forte interesse a cui dedica tempo, fatica ed energie.

Quale sarà invece il momento magico per la vita di una donna? Quale l’unico suo scopo, l’aspirazione massima? La maternità ovviamente!

Il terzo spot infatti ha come soggetto una donna e i momenti della sua gravidanza: il sonno, la voglia di frullato, la scelta del nome, la nausea, il corpo che cambia, la paura di non essere pronta e il momento fatidico del parto.

Se analizziamo bene il concetto di paternità si esplicita nel primo spot attraverso la volontà di assicurare un futuro migliore al figlio maschio, i soldi necessari a studiare attraverso la fatica del lavoro quotidiano, una laurea che permetta un buon impiego futuro. Rivedere in lui la vita che magari non ci si è potuti permettere e investire in questa risorsa.

La maternità invece è come al solito ricondotta esclusivamente alla gravidanza, al parto e al primo vagito del neonato. Mai che questo lato della paternità sia vissuto attraverso il punto di vista e le parole del padre! Mai che si veda dall’altra parte una madre fare sacrifici nel conciliare la vita lavorativa con quella di genitore per assicurare una laurea a sua figlia!

Insomma, io sono mamma e so bene cosa significhi vivere certi attimi legati alla gravidanza e al parto ma tutta questa retorica della maternità prettamente italiana mi ha un po’ stancato. Le donne (dobbiamo ricordarlo ancora una volta?) non sono nate solo per fare figli, alcune di esse non hanno questa come priorità nella vita, non possono, o semplicemente non hanno la minima intenzione di avere bambini. Perché, mi chiedo, queste donne non vengono mai rappresentate? Perché se una donna ammette che non è interessata alla maternità e a mettere al mondo un figlio in Italia è vista come un’eretica?

Cinquent’anni di energia ma in tutti questi anni non è cambiato nulla per quanto riguarda le rigide categorizzazioni di genere. Il mio augurio è quello di imbattermi presto in altri spot della stessa compagnia che possano contraddire le mie considerazioni e gli arcaici stereotipi che in Italia continuano ad essere veicolati e a proliferare fecondi.



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