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Energia: dobbiamo avere il coraggio dell’innovazione!

Creato il 11 dicembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Energia: dobbiamo avere il coraggio dell’innovazione!

Prosegue la pubblicazione degl’interventi più interessanti del 10th Rhodes Forum del WPF “Dialogue of Civilizations”, partner dell’IsAG. Quest’oggi tocca alla dissertazione pronunciata il 5 ottobre scorsa da Claude Haegi, presidente della Foundation for the Economy and Sustainable Development of the Regions of Europe (FEDRE).

 

Dialogo di culture e migrazioni

Dal momento che vengo da Ginevra, vorrei per prima cosa ricordare il famoso scrittore e cittadino di Ginevra Jean-Jacques Rousseau, nell’anno in cui si celebra il trecentesimo anniversario della sua nascita. Nel suo famoso libro Il contratto sociale egli scrisse che “l’ordine sociale è un diritto sacro, che serve da base a tutti gli altri diritti”. Con i grandi cambiamenti di quest’epoca, collegati al processo di globalizzazione che interessa le nostre società, Rousseau ci aiuta a ricordare delle considerazioni basilari come questa: “Prima di distruggere usi e costumi stabiliti, è bene considerare da che cosa essi verranno rimpiazzati” (Lettera a d’Alembert, 1758).

Questa osservazione mi guida a fare un uso ragionevole dell’idea di “dialogo di civiltà” che voi avete giustamente posto al centro dei dibattiti del Word Public Forum di Rodi. Di per sé, il concetto di “dialogo di culture” vede la luce a Ginevra negli anni ’50 nei lavori dello scrittore Denis de Rougemont ed è stato in seguito adottato da diverse organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’UNESCO. L’idea ha raggiunto un sempre maggior successo, ognuno ha sentito il dovere di includervi qualcosa in più ed è per questo motivo che mi sembra necessario proporre dei chiarimenti. Nella mente di Denis de Rougemont, il dialogo non è uno strumento capace di ridurre le differenze culturali, il suo scopo non è l’emergere di una sorta di cultura globale basata sulla globalizzazione e sull’incrocio culturale. De Rougemont non ha mai usato l’aggettivo “interculturale”, che a mio avviso corrisponde a un proposito irrealistico, in grado al contrario di aggravare nervosismi e insoddisfazioni. D’altro canto, dobbiamo sostenere le possibilità concrete di valorizzazione personale nel proprio luogo di nascita. Questo non significa che nessuna regione dovrebbe essere aperta agli emigranti, ma che essa si debba imperniare sull’affermazione della propria identità che gli emigranti non dovrebbero danneggiare; in caso contrario, l’ordine sociale sarà intaccato e, come anticipato da Rousseau, tutti saranno colpiti.

Alcuni anni fa, ho stilato un rapporto sulle migrazioni per il Consiglio d’Europa: per decidere i dati da riportare, ho incontrato sindaci e rappresentanti regionali e locali da tutta l’Europa, oltre a personalità religiose e attori come componenti della società civile. Tutti mi hanno risposto che siccome le norme vengono definite a livello statale e, in alcuni casi, a livello europeo, sarebbe stato fondamentale avere sia presupposti adeguati per accettare gli emigranti nella loro vita quotidiana a livello locale, sia l’appoggio della popolazione. Un intellettuale africano di spicco diceva che la condizione fondamentale per il successo della migrazione era l’accettazione da parte del Paese ospitante. Io aggiungerei la disponibilità e le condizioni locali adeguate. Tutto questo mi fa tornare alla mente una frase scritta da Denis de Rougemont nel 1962: “A essere schietti, il Dialogo di Culture dovrebbe servire i concreti interessi di tutte le nostre regioni: è vitale, prima di essere filantropico”. Nelle conclusioni del mio rapporto ho rimarcato il valore di una riuscita integrazione dei migranti, connessa però col fatto che ogni città o regione, anche la più grande e aperta, per definizione ha un limite nella propria capacità di accoglienza.

Questa concezione spinse diversi membri del Consiglio d’Europa a pormi delle domande, alle quali risposi: “L’immaginazione è pericolosa, in particolare per le persone che vogliamo proteggere, e le buone intenzioni non sono sufficienti a costituire una politica efficace per affrontare il problema”. Dopo molti anni, è ancora così. Una questione del genere è tra le più difficili da risolvere e ciò influenza diversi altri ambiti.

L’energia, una questione vitale

È con la stessa preoccupazione, rafforzata dalla mia lunga esperienza di rappresentante locale e regionale, di essere sia concreto sia realista, che affronterò direttamente l’argomento di questa sessione, illustrando in particolar modo la questione vitale dell’energia. Di fatto, è difficile immaginare un domani vivibile e florido per il mondo se i fabbisogni energetici non saranno adeguatamente soddisfatti. Tutti gli indicatori dicono che queste necessità, lungi dal diminuire, al contrario aumenteranno nel corso dei prossimi decenni a causa della quota crescente di grandi Paesi come la Cina, la Russia, l’India e il Brasile, seguiti da continenti interi come l’Africa, che mira ad unirsi a loro. Nel mondo occidentale, questa è una realtà troppo spesso sottovalutata. Di conseguenza, le scelte dovranno essere pragmatiche e dovremo sfruttare a pieno regime le possibilità offerte dalle innovazioni tecnologiche, con la permanente preoccupazione di uno sviluppo sostenibile del pianeta.

Durante gli anni ’90, negli anni dei grandi cambiamenti politici nella zona dell’Europa Orientale, il Consiglio d’Europa (intendo sotto il controllo dell’ex Segretario Generale di questa organizzazione, Schwimmer) ha lavorato duramente per promuovere la democrazia in questo periodo di transizione. Il Congresso delle Autorità Locali e Regionali, del quale allora ero presidente, si concentrava su due questioni: la tutela dell’ambiente e lo sviluppo economico. L’economia e l’ecologia possono essere associate in modo efficace: di questo eravamo convinti quando creammo, durante un meeting a Lubiana (Slovenia), la Fondazione FEDRE per lo sviluppo sostenibile delle regioni d’Europa nel 1996.

Il Forum Pubblico Mondiale di Rodi è andato per dieci anni nella stessa direzione, ma se vogliamo affrontare le sfide climatiche e ambientali, dobbiamo trovare delle risposte ai problemi energetici. L’Europa (Svizzera inclusa) e gli Stati Uniti hanno dimostrato dalla Conferenza di Rio del 1992 (alla quale ero presente, come rappresentante del Cantone di Ginevra) atteggiamenti piuttosto mutevoli e incerti sulla questione. Fukushima ha provocato il picco della reazione emotiva a livello politico in alcuni Paesi. Con un grado diverso di impegno e convinzione, tutti vogliono attenuare l’effetto serra e cercare di imporre, senza una piena consapevolezza, alcune restrittive politiche dell’Occidente che non hanno ovunque gli stessi effetti economici e sociali.

Al tempo stesso, cosa possono fare i nuovi Paesi emergenti come Brasile, Russia, India, Sudafrica o Cina, oltre a qualche altro, che comprendono più della metà della popolazione del globo? In genere devono improvvisare delle soluzioni senza molte alternative a breve termine e utilizzano tutte le risorse energetiche disponibili senza necessariamente avere i mezzi per mitigarne gli effetti dannosi. Nel frattempo, nei nostri gusci occidentali, siamo scandalizzati per la moltiplicazione nel resto del mondo delle centrali nucleari e di quelle a carbone. Non è il momento giusto per trovare nuovi terreni per la cooperazione internazionale, favorendo effettivi trasferimenti di tecnologia?

Nuovi canali e tecnologie

All’interno del settore energetico possediamo molti canali con un grandissimo potenziale! Le misure più immediate da adottare, tuttavia, dovrebbero essere finalizzate a promuovere il risparmio; sicuramente le possibilità sono maggiori nei Paesi più ricchi, dove vanno moltiplicandosi nuove regolamentazioni al fine di imporre delle norme, ad esempio per le attrezzature. Queste nuove norme riguardano anche gli edifici (una fonte considerevole di consumo di energia) e la mobilità. Alcune città sono innovative, come è stato dimostrato dalle esperienze presentate nel corso di alcuni Forum organizzati da FEDRE: si parla, per esempio, di progetti per l’utilizzo di CO₂ per riscaldare edifici e in Cina la città di Dongtan e altre cittadine sono state scelte per essere liberate completamente dal carbone. È possibile fare altrettanto nei Paesi emergenti, ma probabilmente in misura minore.

Il carbone, il gas naturale e il petrolio si ritiene non abbiano futuro, come se nessuna ricerca in questi settori possa un giorno rivelarsi efficace nel migliorare il controllo delle emissioni a prezzi ragionevoli. Le riserve di carbone sono enormi ed è un’illusione pensare che improvvisamente si possa accantonarle: basti vedere, a questo proposito, i piani della Germania per utilizzare il carbone in sostituzione dell’energia nucleare. Con lo stesso tono categorico, il gas di scisto sta diventando il nuovo spauracchio e ci accade persino di confonderlo con l’energia geotermica! Questi atteggiamenti rigorosi trascurano la capacità creativa dell’uomo e rallentano l’evolversi della società.

La parte finale del mio discorso riguarderà un tabù: l’energia nucleare. Mi sento molto a mio agio a parlarne, visto che nel mio Paese mi sono schierato personalmente, nel corso di molte campagne, contro lo sviluppo di strumenti pericolosi nell’ambito dell’energia nucleare. Anche nel corso di queste campagne, tuttavia, non avrei mai immaginato che sarebbe stata proibita la ricerca di una tecnologia senza ripercussioni sull’effetto serra e priva dell’uso di sostanze chimiche inquinanti come NOx e SOx, tra le altre. La possibilità di eliminare completamente il problema delle scorie radioattive, dei rischi interni delle centrali elettriche e dell’uso militare dell’energia atomica, scientificamente non è un’utopia. Quali sono le ragioni a sostegno delle dispute contro la ricerca in questo campo? L’intransigenza, gli interessi economici per altre fonti energetiche che non vogliono cedere il passo? L’assenza di conoscenze, oppure qualche minaccia? Eppure esiste “Atomi per la Pace” e può, per esempio, essere utilizzato per lo sviluppo in medicina per salvare delle vite. Ce lo siamo dimenticati?

Carlo Rubbia, Direttore Generale del CERN di Ginevra (Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare), ha ricevuto il Premio Nobel nel 1984; le sue attività scientifiche mostrano delle possibilità di fissione nucleare utilizzando il Torio. La crosta terrestre contiene abbastanza Torio da soddisfare i bisogni dell’umanità per migliaia di anni, abbastanza a lungo da permettere a delle tecnologie ancora più avanzate di svilupparsi. I vantaggi del Torio erano già noti, ma questo settore non era stato sviluppato perché non offre possibilità per usi militari. Vorrei sottolineare che l’uso del Torio fornisce considerevoli garanzie in termini di sicurezza e non-proliferazione, abbinate a una drastica riduzione delle scorie e ad una notevole quantità di riserve nella terra. I livelli di sicurezza sono alti dal momento che il reattore può essere immediatamente fermato in caso di necessità e non c’è alcun pericolo di esplosione, come è invece successo a Fukushima. È anche molto più sicuro del sodio liquido, visto come una futura certezza nella prossima generazione di reattori nucleari. I rischi di un’applicazione militare sono estremamente ridotti, poiché non viene generato plutonio; vengono prodotte scorie radioattive di lunga durata in una quantità molto minore, se comparata a quella dei sistemi che utilizzano l’uranio. Vi è la possibilità di incenerire le scorie prodotte dai classici impianti nucleari a uranio, grazie ad un acceleratore ADS che utilizza il Torio. Ciò eliminerebbe il fondamentale problema della disperata ricerca di nuovi siti dove seppellire le scorie radioattive. La possibilità offerta dal Torio di distruggere le scorie radioattive esistenti è, oggi, la ragione più ovvia per la quale dovremmo sviluppare questa tecnologia.

Le riserve di Torio sono abbondanti e si possono trovare, in particolar modo, in India, negli Stati Uniti, in Australia e in Norvegia. Con questa tecnologia, potremmo produrre energia elettrica indipendentemente dalle variazioni meteorologiche e senza generare emissioni di gas serra. Insieme a numerosi fisici del CERN di Ginevra e alcune altre personalità, il mese scorso abbiamo creato “iThEC” (International Thorium Energy Committee), con un doppio obiettivo:

  1. promuovere una ricerca attiva nell’incenerimento (trasmutazione) di scorie radioattive civili e militari, utilizzando un acceleratore di tipo ADS;
  2. continuare la ricerca per la produzione futura di un’energia pulita, sicura e inadatta alla proliferazione nucleare, grazie al Torio.

 
“iThEC” sta organizzando per il 2013 una conferenza internazionale sull’utilizzo del Torio. Questo tipo di energia ha bisogno ancora di molti anni prima di entrare in funzione, ma ha il potere di cambiare completamente il modo di concepire l’energia senza sostituire le risorse rinnovabili di energia esistenti, con le quali nasceranno delle sinergie.

***

Ho detto che dobbiamo cambiare completamente il mondo dell’energia e per farlo abbiamo bisogno del «Coraggio dell’innovazione». I centri di ricerca sono colmi di progetti seri che verranno ulteriormente sviluppati, ma le risorse stanziate non sono quelle che ci si poteva attendere dalle dichiarazioni ufficiali nelle conferenze internazionali. Dalla Conferenza di Rio, cosa non è stato detto e promesso? In questo contesto, possiamo notare che alcune città e alcune regioni hanno compiuto concreti passi avanti, in particolar modo nell’efficienza energetica e, mentre alcuni Paesi si sono impegnati maggiormente, altri sono addirittura regrediti. Tutti i Paesi hanno differenti impedimenti e risorse e le persone occidentali non sono in grado di giudicare le potenze emergenti. Immaginiamo nuovi tipi di collaborazione interregionale, con attori pubblici e privati, che sarebbero vantaggiosi per tutti i membri; le cose potrebbero muoversi più velocemente nella giusta direzione. Il coraggio dell’innovazione è indispensabile.

(Traduzione dall’inglese di Stefano Contini)


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