Intervista a cura dell'Autore a Monica Bortignon, lettrice di ENFER
Quali sono i sentimenti e le emozioni provate durante la lettura di Enfer?
Sicuramente un forte senso di angoscia, di destabilizzazione, di immolazione carnale e spirituale, di efferatezza, macchiati da una dolcezza che, seppure dosata con il contagocce, esprime l’impossibilità di sottrarsi a questo binomio, rendendo succube una componente all’altra e ammaliando il lettore, che diventa partecipe e complice delle vicende dei protagonisti.
Quale la parte che ti è piaciuta di più?
Dilemma quasi impossibile da risolvere, poiché ho amato ogni singolo verso. Mi è piaciuta molto la parte in cui Alexandre si dichiara “fabbro” del corpo di Hélène, all’inizio. In queste parole si colloca l’essenza dell’opera stessa, i versi possiedono le qualità del principio d’immanenza. Esiste uno scambio penna poetica/carne femminile: il testo diventa tutt’uno con il corpo, è vivo perché scelto con accuratezza, nasce da esso, vive e muore in esso. Enfer è come un fiume che rompe gli argini delle convenzioni per straripare nei moti dell’animo umano. I versi diventano in questo modo il fine, non il mezzo espressivo per raggiungere qualcosa all’esterno da sé. Da non dimenticare l’incipit, troppo spesso tralasciato: “Pian piano, Madeleine poggiò le proprie dita sulle dure sbarre di una cella stia all’interno della prigione di Stato della Conciergerie, laddove giaceva, in un angolo, un individuo dall’aspetto lacero che guardava la giovane con occhio indiscreto e torvo; pur essendo la sua mimica coperta da una visibile maschera veneziana, lo sguardo di quel misterioso individuo la trafisse più volte come una lancia”. L’uso dell’avverbio connota la titubanza propria dell’innocenza di Madeleine, ancora pura. Nel momento in cui appoggia le mani alle sbarre, è già prigioniera del suo destino, catturato dallo sguardo predatore di Alexandre e in antitesi alla sua ingenuità di fanciulla.
Fabrizio Corselli
Quale parte, invece, ti è piaciuta di meno o che ti ha disturbato di più? Perché?
Ahimè, non c’è una parte che mi sia piaciuta di meno. Ho letto e riletto il testo per trovarla ma non ci sono riuscita.
Tre aggettivi che definiscano l’essenza dell’opera.
Ascetica
Carnale
Onnipotente
Perché, secondo te, molto spesso l’Eros richiama la presenza del sangue? Un connubio imprescindibile o altro?
Un’attrazione fatale determina il legame tra Eros e Thanatos, tra la pulsione di vita e quella di morte. La morale ha eretto fortezze di pregiudizi, luoghi comuni difficilmente espugnabili dalla mente umana, per i quali è possibile un solo modo d’amare, un unico amore, scissi da ogni sofferenza fisica e spirituale. Freud parlava invece di “formazione di compromesso”, in cui due tendenze opposte trovano espressione in un unico atto. La volontà di sfuggire la sofferenza non supera l’istinto di volerla abbracciare. Così nascono molti atteggiamenti sadomasochistici, in cui, alla componente del piacere, si unisce quella della violenza. Basti citare Georges Bataille: “Quei momenti di ebrezza in cui sfidiamo tutto, in cui, levata l’ancora, salpiamo gioiosamente verso l’abisso, senza curarci della caduta inevitabile più che dei limiti fissati all’origine, quei momenti sono i soli in cui siamo completamente liberi dal suolo (dalle leggi)”; o ancora: “…il desiderio che ci domina di osare sempre più di quanto il cuore non consenta, il bisogno di soffrire di uno strazio incessante…”. Senza un grande dolore, non si arriva a provare un grande piacere.
Anche Klossowski, nel suo saggio Il Bagno di Diana, introduce il tema di morte che la dea, fattasi donna, procura a chiunque la ammiri, in contraddizione con la sua bramosia di essere desiderata. Lo spirito della cacciatrice incontra lo sguardo della preda caduta nella rete del suo gioco sensuale: “Volendosi riposare dalla corsa, vuol vedersi mentre riposa immersa nell’onda, ma resta nondimeno aggressiva. E’ per uccidere che accetta di essere vista, ma nell’uccidere si concede. Ucciderà se uno sguardo la insozza, ma esalterà colui che, morente, l’avrà scorta”. L’impulso della violenza è presente da sempre nell’essere umano. Esso è stato placato e assopito per omologare le persone al buonismo e al perbenismo dilagante nella società contemporanea.
Da qui, Eros e Thanatos sono due facce della stessa medaglia, che, considerate singolarmente, perdono la loro naturalezza, per sfociare nella banalità dei luoghi comuni. Inoltre il più intenso dei piaceri si prova dopo una grande sofferenza.
Può, secondo te, uscirne offesa una donna dalla lettura di Enfer; e perché?
La conoscenza spalanca le porte della libertà. Questa mi sembra una risposta esauriente e concisa per dire assolutamente no. La donna accetta la sua posizione sacrificale nel momento in cui si concede. Per giungere all’estasi, si vuole preda dei voleri del libertino. Lei necessita di lui come lui di lei, sono in simbiosi.
In campo editoriale, molte case editrici optano per la pubblicazione di un Eros scritto da una donna. Secondo te, quali sono i difetti o i pregi di un Eros scritto da un uomo?
Personalmente prediligo l’Eros scritto da mani maschili. Naturalmente mi riferisco alla mia esperienza di lettrice di questo genere. La penna maschile è più sfacciata, credo riesca a far rivivere l’Eros nel lettore in modo naturale, annientando ogni tabù e coinvolgendo maggiormente.
Oggi, in Italia, come viene vissuto l’Eros a livello letterario secondo la tua visione ed esperienza di lettrice?
Penso alle tante trilogie presenti negli scaffali delle librerie, degli ipermercati, sicuramente allettanti dal punto di vista del contenuto ma lontane da ciò che l’arte vuole esprimere con la parola. L’arte deve suscitare emozione e per raggiungere questo difficile compito bisogna essere in grado di rendere il testo coprotagonista dell’opera, tanto quanto il suo contenuto e i suoi personaggi.
Grazie Monica per aver dedicato il tuo tempo a questa intervista.