Una notizia clamorosa e di una gravità inaudita. Continua la privatizzazione silenziosa del nostro apparato statale.
Doveva essere un’assemblea di routine quella dell’Eni lo scorso fine settimana. Senza rinnovo dei vertici in agenda, acquisizioni o aumenti di capitale, l’azienda, gli analisti e lo stesso azionista di maggioranza – Cdp e Tesoro con il 30,1% del capitale – prevedevano un’assemblea sonnacchiosa e dall’esito scontato: voto sul bilancio, sulla distribuzione dell’utile, su un buy back da riavviare e sull’approvazione del piano retribuzioni per i manager.
Invece, domenica scorsa, è successo qualcosa di talmente clamoroso da far passare in secondo piano tutti i punti all’ordine del giorno dei soci. È successo che per la prima volta nella storia, l’Eni si è trovata con il suo azionista di maggioranza passare in minoranza in assemblea rispetto al mercato, uscendo così di fatto dall’ambito delle Partecipazioni Statali per entrare nel circolo delle grandi public company.
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Proprio così. La partecipazione massiccia dei fondi (in larga maggioranza esteri) all’assemblea dell’Eni ha tolto allo Stato la maggioranza dei voti in assemblea, passo storico per le Partecipazioni Statali e in generale per il mercato finanziario italiano. Non solo. Secondo gli analisti, questo salto di qualità sulla governance assembleare si ripeterà non solo l’anno prossimo in Eni, ma anche nelle altre società pubbliche: una volta rotto un argine, il mercato si muove come un fiume in piena.
Ma vediamo i fatti, e in particolare i numeri-chiave dell’assemblea del sorpasso. Secondo le cifre ufficiali fornite dall’Eni, all’assemblea del 10 maggio scorso era presente il 61,08% del capitale sociale, con un incremento di 4,7 punti percentuali rispetto al 2012 (56,38%). Gli azionisti di minoranza presenti sono stati pari al 30,98% del capitale sociale, con un incremento del 5% rispetto al 2012 (26,08%). Al contrario, e qui viene il colpo di scena, l’azionista pubblico di riferimento si è presentato in assemblea contando che il suo 30,10% del capitale gli garantisse come ogni anno la maggioranza. I calcoli si invece rivelati errati. L’aumento della presenza dei fondi e degli istituzionali tanto nel capitale quanto nell’assemblea, dove la partecipazione dei soci non è più condizionata dal deposito delle azioni, hanno fatto scendere l’asse Tesoro-Cdp sotto la quota posseduta dai privati presenti e votanti: il 30,1% dello Stato contro il 30,98% del mercato.
Poichè non erano in discussione scelte strategiche o particolarmente delicate per l’interesse pubblico, il sorpasso dei fondi e degli altri investitori privati non ha creato alcuna tensione. Anzi, il management e in generale gli analisti finanziari hanno definito quanto accaduto come un vero passo storico per il gruppo e per il mercato. «D’ora in poi – scherza un investitore – nessuno potrà dire che la Borsa italiana è dominata da aziende pubbliche».
Per tornare all’assemblea, anche se la maggioranza è andata ai fondi tutte le proposte, compresa la relazione sulle remunerazioni 2013 dei manager, sono state approvate con maggioranze fino al 96% dei voti, segno evidente dell’apprezzamento del mercato sull’operato dei vertici del gruppo. Ma resta il fatto che d’ora in poi, per evitare il rischio di spiacevoli sorprese in assemblea, sarà bene fare i conti con il mercato e soprattutto con gli investitori esteri: la loro partecipazione attiva alla governance delle imprese italiane – e soprattutto delle Partecipazioni Statali – cresce di anno in anno non solo in Eni ma in tutte le aziende pubbliche, comprese Enel, Terna e Finmeccanica. A fare già le spese del nuovo scenario, non a caso, è stata proprio la “cugina” dell’Eni, il gruppo Enel. Nel maggio del 2011, il candidato dell’Enel al cda di Terna fu infatti clamorosamente silurato in assemblea dal voto contrario dei fondi esteri: lasciando l’Enel per la prima volta fuori dal board di Terna (l’ex monopolista ha il 5% del capitale) i privati difesero il proprio investimento dal rischio di conflitti di interesse, poichè l’Enel si era dichiarata contraria alla crescita di Terna nella produzione di energia elettrica.
Può accadere una cosa simile in Eni all’assemblea dell’anno prossimo? Se il trend della presenza dei fondi non cambia, e soprattutto se il mercato volesse dare un segnale forte all’azionista pubblico in tema di strategie e di creazione di valore, nulla lo esclude. Certo, forte del suo 30%, il Tesoro avrà sempre la possibilità di bloccare operazioni straordinarie non gradite ponendosi come minoranza di blocco. Oppure, in casi estremi, avrà ancora la possibilità di esercitare la golden share. Con le conseguenze negative, in caso di scontro con la maggioranza privata, che ne derivano in termini di fiducia del mercato.
Alessadnro Plateroti