‘Enigma’ con Ottavia Piccolo, l’esperimento fallito di Berlino Est

Creato il 25 novembre 2015 da Trescic @loredanagenna

Artista è soltanto chi sa fare della soluzione un enigma” (Karl Kraus)

L’unico enigma è il tempo, quell’infinita trama di ieri, oggi e domani, del sempre e del mai” (Jorge Luis Borges)

Tutti gli enigmi sono semplici, dopo che sai la risposta”. (Giorgio Faletti, “Io uccido”)

Il Teatro Civico di Schio è decadente. Come l’Europa dei muri, distrutti e poi rialzati a vicine latitudini, muri concreti che diventano, gioco-forza, distanze invisibili ma percettibili nei comportamenti di chi ci vive accanto. Il Teatro Civico ha una storia alle spalle di cadute e rinascite, fin dalla fondazione nel 1909, passando per bivacco durante le due grandi guerre, fino a cinema osé e alla definitiva chiusura ed abbandono. Terre di LaneRossi queste, tanto che Schio è definita “la Manchester d’Italia”. Conteneva 1200 posti, adesso, per varie inagibilità, 333. Numeri magici. La piccionaia non si può utilizzare, in platea solo sedie pieghevoli, ma il fascino è inalterato, anzi, decuplicato guardando i possenti bombati palchetti solidi sbertucciati, gli affreschi scartavetrati dal tempo e dall’incuria. Ricorda per certi versi il Teatro Rossi di Pisa e il Teatro Sociale di Gualtieri.

Per risollevarlo dalla polvere è stato organizzato una decina d’anni fa un comitato di artisti, quello che ci vorrebbe sempre attorno ad un luogo di cultura, con, tra gli altri, Gabriele Vacis, Marco Paolini (che da qui trasmise i suoi “Racconti d’estate” per Report) e Ottavia Piccolo. La soluzione fu di non restaurarlo, solo di renderlo agibile e “lasciatelo così com’è”. Che le cose non devono essere nuove per forza, anzi, se rinnovate perdono di fascino e di quella vita vissuta accumulata. La nuova vita del teatro non poteva non prevedere il debutto della Piccolo con il suo nuovo Enigma (testo del ’09, adesso prodotto da Arca Azzurra e dalla stessa attrice), con il quale prosegue la sua avventura teatrale con Stefano Massini (7 minuti, dal quale sarà tratto un film per la regia di Michele Placido, Donna non rieducabile, Processo a Dio).

Il passato è una terra straniera. In un interno dai toni e colori tendenti al grigio, passando per beige, marrone e bianco sporco, un trittico di elementi rossi balza agli occhi: una crepa, dove prima c’era un quadro, adesso rimosso, due fascicoli, la maglia della protagonista, con il rosso che sta per l’indicibile, il non detto, il nascosto, il pruriginoso, il voyeuristico, il dietro le quinte. Ci spiega l’autore, con le scritte sul fondale che indicano l’incedere dei “segmenti”, dieci come fosse un incontro di boxe, che in ogni scena uno dei due personaggi (l’altro è Silvano Piccardi, impeccabile, un po’ Indro Montanelli) mentirà sapendo di mentire. Da gioco letterario, alla Eric Emmanuel Schmitt delle Variazioni enigmatiche, a gioco teatrale, in una caccia al dettaglio, alla mossa. Perché di scacchi si parla, di attacchi e difese, di avanzate e ritirate.

Berlino, vent’anni dopo la caduta del Muro. Si respira aria da Le vite degli altri miscelata all’analisi pirandelliana su verità e finzione. Lui l’ha soccorsa per strada e adesso sono nella sua abitazione. Ma molti dettagli non tornano, altri non quadrano. La nebbia s’infittisce. Chi sono? Chi dicono di essere? E’ uno scambio, un dialogo, o un reciproco interrogatorio? Atmosfere da Una pura formalità con stralci polanskiani: inquietante, sibillino, scivoloso, enigmatico. Gli enigmi sono i giochi che l’uomo, che si dice professore, risolve per controllare la realtà, in una sorta di ossessione per stabilire con certezza consolatoria, dare un posto rassicurante, un ordine preciso, un nome esatto alle cose. Ma la vita è letteratura e non matematica. Si seguono, si inseguono, stalker l’uno dell’altro in un processo di contrappasso mixato con la Sindrome di Stoccolma, si odiano, che poi, in definitiva, è il rovescio della medaglia dell’amore.

Una patina di Ddr, ambigua e sobillatrice, avanza, e, a ogni fine segmento, si ribalta la convinzione che avevamo formulato nel precedente. Una sorta di continuo ribaltamento dei ruoli, vittima e carnefice, in un tempo ellittico che, appena ha riordinato e cesellato meccanismi e oliato ingranaggi, fa uno scarto, inceppandosi e prendendo una nuova direzione. Massini a mano a mano svela le proprie carte, i pezzi del puzzle si incastrano, le porzioni di tetris scendono e collimano, niente è lasciato al caso, ogni dettaglio ha un senso, ogni pausa una sua compiutezza e compattezza, ogni tranello drammaturgico, ogni trabocchetto letterario messo in campo si esaltano a vicenda. Una grande accusa all’esperimento fallito che fu Berlino Est, poi boomerang abbattutosi sul comunismo, tra l’immobilismo e la nostalgia. Un incastro di smascheramenti (la cura e forza attoriale della Piccolo e la nitidezza gentile di Piccardi ne fanno un robusto equilibrio di palleggio e sostanza), di rimessa in discussione, di sorprese, di spionaggio e controspionaggio interscambiabili, di vite sotto controllo, perdute nel passato, ma, in fondo, nessun altro al mondo li conosce meglio quanto l’uno l’altro, sconosciuti che si sono rubati l’intimità.

Enigma”, Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi, visto a Schio, Teatro Civico, il 6 novembre 2015

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