Gli inglesi lo hanno battezzato The man who prints houses, “l’uomo che stampa le case” e gli hanno dedicato un documentario (qui il trailer). Io ho letto per la prima volta il suo nome pochi giorni fa su La Vanguardia, il più diffuso quotidiano catalano, che gli ha concesso un’intervista a pagina intera. Dopo averla letta, incuriosita, l’ho cercato per farmi raccontare la sua storia.
Lui è Enrico Dini, ingegnere classe 1962, toscano di Pontedera, imprenditore, inventore e sognatore quanto basta per pensare che in futuro le case si stamperanno con le sue macchine D-shape, stampanti 3D che dalla sabbia possono creare oggetti reali. Il suo progetto è stato presentato anche alla Maker Faire, una delle più importanti manifestazioni internazionali nel settore dell’innovazione e della robotica, che si è svolta a Roma dal 3 al 6 ottobre. Dal palco, davanti a un affollatissimo auditorio, Dini ha detto:
In questo momento più che case per gli umani stampo case per i pesci, ma c’è un tempo per ogni cosa.
Le “case per i pesci” sono in realtà pezzi di barriera corallina che Dini vende in giro per il mondo laddove c’è bisogno di ricreare gli habitat della fauna ittica. Il suo sistema richiede soltanto della sabbia e degli agenti chimici da usare come collanti.
Il prossimo passo sarà la stampante portatile. La si mette sul pontile, si stampa la barriera corallina e la si immerge senza bisogno di trasporto. Un sistema economico ed ecologico.
Dini visita spesso Barcellona perché collabora con l’Institute for advanced architecture of Catalonia (Iaac) con il quale segue un progetto di edilizia sostenibile per “stampare villette di terra cruda”. Ci incontriamo proprio nella sede dell’istituto catalano e già dalla prima stretta di mano sento che sarà un’intervista divertente. Dini è vulcanico, la sua narrazione punteggiata di battute, nomi e ricordi; divagazioni che spesso richiedono di essere ricondotte al tema di partenza.
Mi faccio raccontare il suo percorso professionale, dalla laurea in ingegneria civile, settore che gli andava decisamente stretto, alla robotica applicata all’industria calzaturiera:
Dal 1992 al 2003 ho progettato macchine per il settore delle calzature, undici anni in cui ho vissuto da vicino il passaggio dalla manifattura tradizionale a quella con i robot fino allo spostamento della manifattura all’estero. A quel punto non c’era più lavoro per la mia azienda, così mi sono dovuto cercare qualcosa di nuovo per vivere.
È in quegli anni che Enrico Dini, dopo qualche invenzione non andata a buon fine e periodi da manager in aziende altrui, viene a conoscenza di alcune stampanti americane che promettevano di creare oggetti in 3D. L’idea lo appassiona e durante una presentazione in Piaggio, dove stava tentando di stampare un pistone (con una lentezza insostenibile) pensa per la prima volta di applicare la stampa all’edilizia. A quel punto comincia la sperimentazione di nuovi prototipi di stampante capaci di realizzare il suo sogno, ma la strada, come spesso accade agli imprenditori “visionari”, è costellata di imprevisti, illusioni e anche brusche cadute dalle quali, tuttavia, Dini riesce sempre a risollevarsi.
Nel 2006 ho creato la Monolite Uk, ho investito tutti i miei risparmi per mettere insieme una macchina da costruzione e non da laboratorio. Avevo in mente un concept ben preciso, ovvero una macchina capace di stampare usando un materiale ragionevolmente economico ed anche ecologico per andare incontro all’architettura sostenibile. A Londra, in quegli anni, conobbi molti architetti di fama che mi introdussero nel mondo del CAD, che non conoscevo. Speravo di poter ottenere dei finanziamenti, che la crisi non mi ha permesso di avere così, nel frattempo, sono tornato in Toscana e ho avviato un’azienda che stampava sculture. La vendita di questi oggetti però, alla lunga, mi faceva sentire un marmista e non mi dava soddisfazione. Così, investigando, ho scoperto la possibilità di applicare le mie macchine alla produzione di parti di barriere coralline, che è un’attività che sta andando molto bene.
Dato che le barriere coralline non si comprano al supermercato la curiosità mi spinge a domandare quanto costerebbe mettere un pezzo di barriera nell’acquario di casa e scopro che la stampa di un singolo pezzo richiede più di mille euro.
Le mie macchine diventano molto competitive sulle gradi quantità. Cento pezzi costano meno di 500 euro, sopra i mille non c’è nessun altro sistema più economico. Ecco perché funzioniamo bene.
Dini non ha rinunciato al sogno di costruire interi edifici, ma è consapevole che in questo momento il costo dei materiali non rende la sua invenzione conveniente per i costruttori, anche se ritiene le difficoltà tecniche più che superabili, tanto che sul mercato si stanno affacciando altri competitor che con sistemi più o meno simili promettono di rivoluzionare l’edilizia del futuro. I tempi?
Penso che in due o tre anni già potremmo cominciare a vedere le prime, vere case “stampate” e abitabili.
Difficile sapere come e in che tempi si svilupperà realmente il progetto, in ogni caso la grinta di questo imprenditore non passa inosservata. Un storia, quella di Dini, di quelle che fanno bella l’Italia nel mondo.
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