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Enzo Gianmaria Napolillo: “La lettura mi ha aiutato a trovare la mia voce di scrittore”

Creato il 21 settembre 2015 da Leultime20 @patrizialadaga

1533877_908948729127168_4582053273020208397_nEnzo Gianmaria Napolillo è l’autore di Le tartarughe tornano sempre (Feltrinelli), romanzo giustamente applaudito dalla critica e dal pubblico, che ha proiettato questo trentottenne di Saronno sotto i riflettori degli amanti della letteratura. Già autore di Remo contro, uscito nel 2009 per Pendragon, Napolillo, in Le tartarughe tornano sempre, affronta il tema scottante e attuale dei migranti che approdano (e spesso muoiono) sulle coste di Lampedusa. Un libro che emoziona per la delicatezza della storia e che fa riflettere per la profondità dei quesiti che pone alla coscienza del lettore. Un romanzo, insomma, che fa venir voglia di conoscerne l’autore.

Detto, fatto.

Ho incontrato Napolillo lo scorso luglio e non ho potuto che confermare le belle sensazioni provate durante la lettura del suo romanzo. Lo scrittore, sposato con un’italo-spagnola e padre di un bimbo di nove mesi, si è dimostrato una persona di grande disponibilità e simpatia, con una creatività che si rivela anche nel generoso raccontarsi. Un fondo di timidezza, sempre mascherata col sorriso, mi ha confermato quel che Le tartarughe tornano sempre mi aveva già annunciato: un autore sensibile che saprà ancora far parlare di sé in futuro.

Vivere di scrittura è un privilegio riservato a pochi che forse, grazie al successo di Le tartarughe tornano sempre

 potrebbe toccarti presto. Ma fino a oggi che cosa hai fatto per vivere?

Ho una piccola azienda con mio padre, sono un rappresentante industriale, il mio lavoro non ha nulla a che vedere con la scrittura ma le è funzionale, perché mi lascia molto tempo libero. Per scrivere Le tartarughe tornano sempre mi alzavo alle sette del mattino e scrivevo fino alle 10.30 poi andavo a lavorare. Una flessibilità che con altre occupazioni non avrei potuto permettermi.

Tuo padre che cosa dice di questa tua passione?

La sua filosofia, che ha ispirato il personaggio del padre di Salvatore nel romanzo, è quella di non permettere al lavoro di diventare l’essenza della vita. Il lavoro serve per vivere ma deve lasciare spazio alle passioni. Quella di mio padre è il tennis e per poter continuare a giocare ha anche rinunciato a ingrandire l’azienda quando ne ha avuto l’opportunità.

Come è cominciata la tua passione per la scrittura?

A scuola. Io ho studiato da geometra e avevo un professore che castrava la mia creatività. Scrivevo con uno stile personale, per esempio mi piaceva iniziare le frasi con la “E” come Hemingway, ma ogni variazione dalle regole classiche per il mio insegnante era un errore grave. Così, mi dava brutti voti e io a quel punto ho smesso di interessarmi alle sue lezioni e sono diventato un lettore accanito. Solo alla maturità il professore esterno mi ha fatto i complimenti per il tema, dicendo che era il migliore della scuola. È stata una bella soddisfazione…

Non hai mandato una copia de Le tartarughe ritornano sempre al tuo vecchio insegnante?

No, i sentimenti di rivalsa, non mi appartengono.

A chi fai leggere i romanzi appena li termini?

A mia moglie, ma per capitoli, non alla fine. È la mia prima lettrice.

Napolillo e La Daga

Una foto con Enzo Gianmaria Napolillo per ricordare la nostra piacevole chiacchierata

Come è nata la tua carriera di scrittore.

Dopo Remo contro un amico scrittore nel 2010 mi ha consigliato di mandare qualche pagina del libro che avevo appena scritto all’agente Vicky Satlow che conosceva. La sera stessa lei mi ha chiamato dicendo che le era piaciuto leggermi e che avrebbe voluto rappresentarmi. Sembrava che il romanzo dovesse essere pubblicato da un noto editore ma alla fine, per vari motivi, non se ne fece nulla. Io avrei accettato di pubblicare anche con altri più piccoli, ma lei mi disse: “Se vuoi davvero fare lo scrittore devi mettere nel cassetto questo romanzo e scriverne un altro”.

Questo rifiuto non ti ha demoralizzato?

Eccome! Ero così arrabbiato che sono riuscito a scrivere una storia di cinquecento pagine su un bibliotecario misantropo. La mia agente mi ha di nuovo obbligato a metterlo nel cassetto dicendomi di tirarlo fuori quando avrò settant’anni…

Un momento difficile per te, quindi.

Sì, l’idea di dover cominciare un’altra storia mi faceva sentire male. Però era il mio sogno. La mia famiglia e Vicky mi motivavano dicendo che era un percorso lungo e difficile ma che se ci credevo ce la potevo fare. “Io ci sono, amo la tua scrittura e sarò sempre disposta a rappresentarti” mi ripeteva la mia agente.

Come sei arrivato a scrivere Le tartarughe tornano sempre?

Avevo scritto un raccontino per un evento, dedicato all’Unità di Italia, che si teneva a Macerata e il mio protagonista era un uomo di Lampedusa che sceglieva di stare in barca tutto il giorno a salvare i migranti che arrivavano sui barconi. Un personaggio diverso da Salvatore, ma che in qualche modo lo ha ispirato. La mia agente mi ha suggerito di sviluppare il tema e così sono nati Salvatore e Giulia. In genere i romanzi sull’immigrazione raccontano la storia dal punto di vista dei migranti. Io ho voluto capovolgere il punto di vista in modo che i lettori italiani potessero immedesimarsi.

Quanto ci hai messo a scriverlo?

La fase creativa ha richiesto cinque o sei mesi, poi ci sono state varie riscritture.

Come organizzi la tua scrittura? Fai degli schemi prima di metterti al computer?

Sono piuttosto metodico, non comincio a scrivere una storia se non ho ben in testa non tanto la trama quanto i personaggi. I personaggi devono diventare miei amici, li devo avere sempre dentro di me.

Quali sono i tuoi modelli?

Mi piace raccontare la vita, le emozioni. Amo Svevo e Steinbeck. Un libro degli ultimi anno che ho adorato, invece, è Stoner. È incredibile come John Williams riesca nella magia di esserci nel suo personaggio senza farsi vedere.

Qualche autore italiano contemporaneo che apprezzi?

Mi è molto piaciuto Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli. Un altro è Nel mare ci sono i coccodrilli di Geda.

Come vivi le presentazioni dei tuoi libri?

All’inizio mi pesano un po’, dopo, invece, mi mancano. I primi incontri con il pubblico sono sempre un po’ più brevi e più tesi, mentre alla fine mi rilasso e la gente viene a farmi i complimenti e a chiedere le firme. Le presentazioni che preferisco sono quelle nelle scuole, possono durare anche due o tre ore e ci sono momenti davvero emozionanti.

Un episodio che ti ha riempito di soddisfazione?

Un incontro con gli studenti a Matera. Alcune classi di un liceo avevano lavorato sul mio romanzo con i professori e al mio arrivo c’era un atmosfera stupenda, un grande entusiasmo. Prima del mio intervento vari studenti hanno letto una lettera in cui spiegavano che cosa li aveva colpiti del romanzo. Tutti avevano la loro copia del libro in mano, abbiamo fatto tante foto, insomma un momento memorabile.

Una recensione negativa che ti ha sorpreso o infastidito?

Per adesso ne conosco solo una, del Corriere del Ticino, poche righe in cui si diceva che il problema dell’immigrazione non si risolve con un romanzo in cui c’è una storia d’amore. Francamente non ho capito la critica…

Il titolo Le tartarughe tornano sempre è tuo?

Sì. Io non ero mai stato a Lampedusa, ci sono andato dopo che la storia si era già sviluppata con i miei luoghi immaginari e non avevo ancora un titolo preciso. Nel libro l’isola non è mai citata esplicitamente, io volevo che fosse semplicemente l’isola di Giulia e di Salvatore e dopo esserci stato e aver visitato il centro del WWF che si occupa delle tartarughe, ho deciso di inserire l’episodio finale, il più romantico del libro, quello in cui Giulia libera la tartaruga. Da lì è nato il titolo, anche se l’editore inizialmente aveva qualche dubbio.

Che cosa c’è di te nel romanzo?

Il mio primo romanzo era molto autobiografico, ma io ho trovato la mia vera voce di scrittore quando ho cominciato ad allontanare la prospettiva e a scrivere di persone che non sono io, distribuendo però qualcosa di me in tanti personaggi, anche in quelli negativi, inserendo i miei difetti.  Farlo è salutare, è quasi una psicoterapia

Qual è secondo te il ruolo dello scrittore oggi in società?

Io scrivo quello che sento e spero che questa autenticità traspaia e arrivi a chi mi legge. Più che il ruolo dello scrittore posso dire qual è il ruolo della letteratura per me. Leggere è apertura mentale, i libri servono per definire se stessi, farsi delle opinioni e per conoscere realtà altrimenti inaccessibili. Per me è stupendo poter leggere Dostoevsky perché io non potrò mai incontrare una persona vissuta nell’800 ma grazie ai suoi libri vivo la magia di potermi immedesimare in un personaggio vissuto a quei tempi. È qualcosa che fa crescere.

In che cosa ti senti di essere cresciuto grazie alla lettura e alla scrittura in questi anni?

C’è una cosa stupida che pensavo quando avevo diciassette anni, cioè che un vero scrittore non dovesse avere influenze di altri autori. L’idea nasceva dalla convinzione che tutto fosse già stato detto e scritto e quindi che sarebbe stato impossibile scrivere qualcosa di nuovo, a meno che uno non avesse influenze esterne. Con gli anni, invece, ho capito che la mia voce di scrittore poteva uscire soltanto assimilando le esperienze degli altri e mischiandole alle mie. E questo lo si ottiene soltanto leggendo tanto.

Qual è il tuo sogno più grande?

Poter vivere di scrittura, possibilmente in un luogo di mare, con la mia famiglia.

Hai già in mente la tua isola?

Ce ne sono tante. Ancora non so…

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