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Epifanie mondane (1): Il primo apparire

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Epifanie mondane (1): Il primo apparire

Aver cura del vivente richiede tempo, attenzione, attesa: in una parola, pazienza. (Gabriella Caramore)

Ad ogni nuovo ingresso nella stanza, tutte le volte che si presenta qualcuno per la prima volta nella sede del Centro di ascolto lasciamo che la cosa accada, come se non stesse accadendo niente di sconvolgente, niente che non ci sia già noto, per aver visto nella nostra lunga vita apparire cose e persone: alla prima volta non abbiamo attribuito significati speciali; la particolarità di ognuno, la novità di ognuno ci è sempre parsa in qualche modo scontata. Si è trattato sempre di catalogare immediatamente la persona come utente interessato ad una richiesta di aiuto. Qualche volta siamo stati colpiti più del solito dalla drammaticità del racconto, ma anche questo aspetto della cosa è stato riassorbito all’interno della consuetudine dell’ascolto: ciò che si presenta drammaticamente cessa di esserlo quando si siano inquadrati i problemi e si sia stabilita la relazione. 

Se questo è ciò che ci appare di noi stessi, se restiamo alla superficie delle cose, ben più intenso e profondo risulterà lo sguardo che accoglie, se leggiamo più attentamente la scena: gentilezza e disponibilità umana non sono qualità private, caratteristiche di personalità che appartengano a pochi! La formazione professionale degli ascoltanti è formazione permanente che mira a educare all’ascolto attivo ogni persona che sia interessata ad aprirsi alle voci del mondo: si tratta di dare valore alle molteplici presenze che si accampano sulla scena, per cui è l’infinito trascorrere da una persona all’altra che è in questione. Bisogna apprendere a percorrere il ponte che avremo gettato tra noi e l’altro, perchè sia possibile trascorrere da una direzione all’altra indifferentemente. Accogliere ed essere accolti è accettare ed essere accettati, riconoscere dignità all’altro e vedersi riconosciuti nella propria dignità. Nel momento in cui l’altro avverte che le sue parole hanno peso non può fare a meno, a sua volta, di aprirsi, di accogliere, di accettare, di ricambiare le attenzioni, di offrire le personali risorse per favorire la conoscenza di sé. Lo scambio di risorse e la reciprocità, assieme all’interazione emozionale, generano il legame. 

La marcia di avvicinamento progressivo, che è apertura alle ragioni dell’altro, l’esplorazione della sua ambivalenza, la possibilità offerta all’altro di elaborare i due lati dell’ambivalenza fanno dell’ascoltante un camminante. L’accesso all’invisibile dell’esperienza dell’altro non è ingresso in una zona dell’anima paragonabile a un luogo ideale: è, piuttosto, il momento in cui emerge un vissuto personale a costituire di fatto la possibilità del contatto emotivo: il nostro sistema di significati – la nostra mente – incontra un altro modo di declinarsi nel mondo, che è ancora sconosciuto per noi. La terra incognita che ci si para davanti è propriamente l’esperienza dell’altro. Avvertire di essere dislocati altrove, di essersi allontanati per un po’ dalle proprie ragioni per conoscere altro – per amore di altro – è già essere partiti in direzione dei sei lati del nondo: dovremo stabilire con l’altro il significato di alto e basso, avanti e indietro, destra e sinistra: è ciò che chiamiamo Kairós, cioè tempo debito, il momento opportuno per poter dire che siamo qui e ora, che occupiamo lo stesso spazio e ci moviamo nello stesso tempo; è la qualità dell’accordo a cui si arriva dopo aver camminato insieme guardando nella stessa direzione. 

Il movimento verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo costituiscono i tre fondamenti dell’autoeducazione, il costituirsi dell’esperienza come Erfahrung, ‘viaggio’, ‘cammino’. Da Erlebnis a Erfahrung. 


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