Il professor Deliberti, gli strinsi la mano per l’ultima volta, e già un senso di melodrammatica malinconia mi assalì. Era il mio ultimo esame prima della laurea, non avrei più messo piede in quell’edificio, non avrei più visto quei volti, compiuto quei piccoli gesti che a noi universitari sono sempre piaciuti molto, dal caffè a buon mercato delle macchinette, alla frettolosa sigaretta “stuccata” durante la pausa. Ma ero anche tremendamente felice, sollevato, fiero di essere arrivato ad un traguardo, ad un punto cruciale, ad una svolta, di essere uscito finalmente vittorioso da un eterno limbo di dubbi, incertezze, angosce ed ansie dovute all’impotente incomprensione su cosa mi avrebbe riservato il futuro ( se mai un futuro sarebbe potuto esistere). Salutai per l’ultima volta una mia amica e compagna di disavventure accademiche ostentando e simulando abbastanza bene un apparentemente rilassato gesto di commiato dandogli appuntamento come al solito al giorno seguente alla stessa ora, nello stesso posto. Non volevo davvero che qualcuno, anche la persona più vicina a me potesse anche soltanto immaginare i miei programmi per il pomeriggio.
Intanto a pochi chilometri di distanza Andrea, un giovanissimo pilota di aerei ultraleggeri, stava mettendo a punto il suo Cesna86-15F nero, apportando ogni necessaria manutenzione agli strumenti di bordo, caricando 10 galloni di carburante nel serbatoio, controllando minuziosamente le corde ed ogni altra imbracatura necessaria per un lancio con paracadute da 4000 metri di quota. Tutto era pronto e perfettamente funzionante, si accese una sigaretta e con il suo solito gesto scaramantico prima di intraprendere ogni volo osservò il suo brevetto di pilota falsificato a dovere da un lontano cugino di Caserta.
Andrea non aveva mai potuto permettersi un brevetto vero e proprio, acquisito di norma a seguito di costose lezioni di aeronautica, e per assurdo, pur avendone avute le possibilità economiche, non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello di abbassarsi ad ubbidire silenziosamente agli ordini impartiti da chissà quale decrepito ufficiale in pensione che per arrotondare la sua già cospicua ed immeritata pensione militare, si divertiva a spillare centinaia di euro a chi, come lui, la voglia di volare ce l’aveva nel sangue, non nel gonfio e mercenario portafoglio.
Andrea fece tutto da se: iniziò coi simulatori di volo nelle sale giochi, imparò qualche nozione fondamentale sulle correnti ascensionali andando in deltaplano, ed infine dopo essere riuscito ad acquistare da uno sfascia-carrozze polacco quel piccolo Cesna malridotto, iniziò le sue abusive scorribande aeree sfuggendo sempre, grazie a ripetute ed enormi botte di culo, ai controlli delle forze dell’ordine. Così il giovane pilota trovò nella sua passione anche una forma di sostentamento, accogliendo nella pancia del suo velivolo, appassionati di sport estremi come il paracadutismo, in cambio di un modico rimborso spese. Da tutta Italia richiedevano le sue rocambolesche ed irresponsabili prestazioni che raddoppiavano le già adrenaliniche emozioni connaturate ai lanci con paracadute.
Appena sceso l’ultimo gradino della mia oramai ex-facoltà, rivolto verso il funesto ed austero sguardo della statua della Minerva, simbolo di saggezza, presi il cellulare. Il numero di Andrea era tra le chiamate recenti. Gli dissi che stavo arrivando, mi ci sarebbero voluti tre quarti d’ora, mezzi permettendo. L’unica risposta che ricevetti fu una rilassata espressione tipica del gergo romanesco «bella», che per i non addetti ai lavori in questo contesto potrebbe essere tradotta con un «va bene/ok/ciao».
Tutto era pronto, finalmente finito, terminato, non sarei più stato oppresso dai sensi di colpa causati da una carriera universitaria pressoché scadente, stancante, castrante. Nessuno mi avrebbe più giudicato, etichettato, marchiato col timbro della vergogna costituito da un fottutissimo “18”, il voto della salvezza, la sufficienza, il voto di chi l’ha sfangata, di chi ha acquisito le nozioni minime-indispensabili per non essere bocciato. Nessuno avrebbe più fatto di me un numero, un’insignificante matricola.
Era una perfetta ed asfissiante giornata romana d’agosto, di sole torrido, di quel caldo avverso che non riesci proprio a vederci alcun lato positivo. Ci fumammo una canna insieme, io ed Andrea, mi disse che avrebbe inibito quanto bastava le violente scariche di adrenalina che la mia ipofisi avrebbe prodotto copiosamente durante il lancio. Con i piedi immersi nelle acque fresche del lago di Bracciano, luogo deputato al decollo del piccolo Cesna, parlottammo discorsi insignificanti come quelli che si fanno mentre si aspetta il proprio turno dal medico. Berlusconi, Belen Rodriguez, i soldi che non ci sono, la benzina che sale alle stelle, il campionato di calcio, furono gli argomenti che, per tutto il tragitto aereo che andava dalla pista di decollo al punto di lancio, usammo per dissimulare l’evidente stato di agitazione in cui versavamo entrambi. Molto spesso la banalità è la miglior medicina contro ogni forma di preoccupazione o ansia.
Quota 4000 metri…Era giunto il momento! Mentre Andrea tentava di tenere il velivolo più stabile possibile, aprii il portellone, feci un sarcastico e virtuale saluto a mamma e papà e mi buttai senza pensare a nulla, finalmente…LIBERO!!!!!!!!!!!!!!!!!
Mi sfracellai al suolo all’invidiabile velocità di230 km/h, su un lussureggiante prato di campagna disseminato di escrementi di mucca che metaforicamente riassumevano il significato della mia breve e travagliata vita. Sorpresi vero? Bé forse un po’ si dato che omisi all’inizio del racconto di dirvi che il lancio che avevo metodicamente preparato e programmato minuziosamente non era un lancio col paracadute per festeggiare l’ultimo esame superato con successo, bensì il mio scenografico e rocambolesco modo per abbandonare la vita, l’irrefrenabile desiderio del suicidio scatenato dall’ennesima bocciatura (la 10ima per l’esattezza) nell’esame che mi precluse la possibilità di laurearmi e forse di essere ancora in vita.
Chissà se il prof. Deliberti abbia visto il Tg oggi, e chissà se le sue ormai pigre e stanche sinapsi siano riuscite ad elaborare in un rapporto di causa-effetto la mia bocciatura con il mio suicidio? Spero davvero di si!!!
Per le altre persone, quelle che mi hanno voluto davvero bene e che non meritavano questo mio gesto, non ho nient’altro da dire se non un vigliacco ma sincero “SCUSATEMI”.
Di Francesco Briganti
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Breve presentazione dell’autore:
Come mi vorresti? Come mi immagini? Potrai fare di me quello che vuoi…sono soltanto un esecutore, un adepto della scrittura, il fido servitore dei miei pensieri, il dattilografo delle mie idee, l’editore dei miei scritti. In ciò che scrivo sta la mia essenza, la mia vera unicità.