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Epoca di licenziamenti

Creato il 27 dicembre 2011 da Alfaprom @lorenzasomogyi

Dicono che è la crisi… sento un collega: licenziato. Ne sento un altro: rimosso dall’incarico, in attesa che la sua testata chiuda. Beh! Certo, dev’essere proprio la crisi. Poi, l’altro giorno, sento un terzo collega: si è licenziato. Per inedia, insoddisfazione, insofferenza, incapacità di rassegnarsi all’orrore di un dire di sì idiota. Chapeaux… a questo punto viene naturale una riflessione: è vero c’è la crisi. Troppi giornali, troppe riviste, poca pubblicità. La gente legge sempre di meno su carta. È naturale: chiudono. I tagli sono tagli, non guardano in faccia a nessuno. E quindi via: tagliamo i finanziamenti all’editoria.


Ma un collega che si licenzia significa altro: significa che veramente qualcosa sta cambiando. Significa che in mezzo all’ossessione dilagante sull’incremento di audience, qualcuno sta decidendo di guardare avanti. Di uscire dall’ottusità della privazione dei contenuti in nome dell’ansia del profitto per tornare a guardare alla propria persona. Ora, è vero, c’è la crisi. È vero: si taglia orrendamente la cultura. Ma se la crisi porta qua e là qualcuno a ribellarsi, finalmente, a dire basta a questo silenzio dell’anima. Allora ben venga la crisi. Un tizio lungimirante di nome Thomas Kuhn ha scritto nel 1962 che tutte le rivoluzioni nascono da una crisi. Speriamo…


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