Eppur si muove

Creato il 19 settembre 2013 da Chiarac @claire_com_

In questi giorni sto acoltando in loop Raasuk, l’ultimo album dei Mashrou’ Leila, la super famosa band libanese la cui musica il Guardian recentemente ha definito come un mix tra Arctic Monkeys, Radiohead, Strokes e le sonorità di Fairouz.

Ovviamente i Mashrou’ Leila non sono nati ieri in Libano, paese in cui sono affermatissimi – come in tutto il mondo arabo, dove ad ogni concerto fanno il pienone. Fa piacere però che di loro si siano accorti anche il quotidiano britannico e il pubblico europeo: il gruppo guidato da Hamed Sinno infatti ha inserito tre date europee nel tour promozionale dell’album.

No, non vi emozionate, l’Italia non è tra queste. Non siamo ancora pronti per la musica che viene dal mondo arabo (ma ehi, lettori di Londra, Parigi e Barcellona, leggete qui i giorni e andateci anche per noi!).

Invece sembra che nel paese delle occasioni perse, il nostro, almeno qualcosa si salvi: l’editoria si è accorta della letteratura araba e pare che non sia una fase di passaggio.

Almeno questo è quanto emerge dalla lettura dell’articolo “Il trend della narrativa araba tradotta dall’arabo. Quali romanzi per quali lettori?” scritto da E. Bartuli per L’Indice di questo mese.

Non vi voglio rovinare il piacere di leggere quanto scrive la Prof.ssa Bartuli, ma vorrei solo sottolineare un concetto che mi sta molto a cuore e che rappresenta in ultima analisi le fondamenta su cui si basa tutto il progetto di questo blog, ovvero: la banalizzazione della letteratura araba. Che vuol dire (e qui mi ripeto, I know), trattare la letteratura araba come una qualsiasi altra letteratura di questo mondo, né più né meno. Senza stereotipi, pregiudizi, sensazionalismi.

Tuttavia banalizzazione non deve essere sinonimo di scarsa qualità e su questo punto Bartuli insiste in più parti nel suo articolo. Banalizzare, per gli editori, non vuol dire puntare al sensazionalismo o rincorrere a tutti i costi l’ultimo romanzo scritto in arabo perchè ora il-mondo-arabo-va-di-moda-e-quindi-i-lettori-si-leggono-di-tutto. È importante saper puntare su libri, autori e traduttori di qualità anche perchè se un libro è tradotto male, o non è valido, arreca danno anche a tutto il lavoro fatto in precedenza, a tutta la categoria. Ed è gioco facile poi sentirsi dire che gli scrittori arabi “non sanno scrivere”.

Fino ad oggi la letteratura araba è stata considerata una letteratura di nicchia, per specialisti o per lettori dai gusti “esotici”. E aggiungo, senza timore di essere smentita, che è stata una letteratura spesso “bistrattata” perchè espressione artistico-letteraria di un mondo e di una cultura che da più di un decennio sono l’oggetto privilegiato di un fuoco incrociato combattuto a suon di stereotipi e di disinformazione, i cui effetti ricadono a cascata su tutto ciò che quel mondo riguarda.

Ma come dice Bartuli, eppur qualcosa si muove. Migliora la qualità delle traduzioni, si scelgono “filoni” più che la nazionalità (vedi i thriller di Mourad inseriti da Marsilio in una collana di gialli) e alcuni autori arabofoni sono stati invitati ai Festival di Mantova, Lucera a Ferrara.

È arrivato forse il momento di cominciare a fare un discorso diverso. Normale, forse banale, chissà.

Nell’articolo trovate citato anche questo blog tra le “considerazioni positive”: ma sono citati soprattutto tutti quei lettori del blog che da circa un anno e qualche mese sono “disposti a mettere in gioco le proprie competenze per aiutare la blogger nel suo sforzo di fare informazione”.

Io lo dico sempre che questo blog è un lavoro collettivo e mi piace molto che questa anima collettiva sia stata riconosciuta. Quindi grazie a tutti.

A questo link trovate l’articolo. Buona lettura e se vi va, i commenti a quanto scritto sono aperti al contributo di tutti.

(Visto che ne ho parlato, non potevo non lasciarvi con il video del primo estratto da Raasuk. La canzona si intitola Lil-watan, Per la patria, e a me piace moltissimo)

ps – aggiornamento dell’ultimo minuto. Un articolo sui Mashrou’ Leila è apparso anche su Vanity Fair Italia a firma di Alessandra Abbona (@AlessAbbona). Eppur si muove, è il caso di dirlo anche in quest’ambito.


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