Mi spacco il sedere su di un sellino dalla seconda metà degli anni ’80. Per questo motivo voglio tirar fuori una manciata di arroganza e dire che ho visto il ciclismo della domenica in quasi tutte le sue sfumature. Il “quasi” lo ficco dentro proprio per non fare la figura del Padreterno. In generale, cioè facendo una considerazione comprendente 25 anni di boracce svuotate in Valbelluna, i ciclisti oggi corrono di più e sono diventati più tristi. Senza distinzione di sesso e di età, il morbo del “Musonis lungo ciclisticus” dopo essersi evoluto e aver proliferato in massa soprattutto nel trevigiano, oggi è sconfinato ed è diventato ormai sempre più presente anche in Vallata. Facilmente figlio di una mentalità egoistica che dalla vita di tutti i giorni – usiamo questo modo di inquadrare la questione – non viene lasciata a casa quando le persone salgono in bicicletta. Quando iniziai a lavorar di gambe, il ciclista della domenica era per lo più un “atleta” che partiva dai 40, anche 45 anni in su. Un ciclista di 30 anni era roba rara. Ce n’erano di quell’età, ma era gente che faceva corse. A me, i ciclisti invece dai capelli (quasi tutti) bianchi, chiedevano perché alla mia età di allora non me ne stavo a correre dietro a un pallone su di un prato. Con il passare degli anni le strade della mattina di festa si sono riempite non poco e la particolarità, fino alla metà del decennio scorso, era che quando “sconfinavamo” fuori dalle nostre strade notavamo un aumento di “Musonis lungo ciclisticus”. Oggi non serve andare fino a chissà dove. Purtroppo anche dalle nostre parti questo esemplare si è moltiplicato. L’età si è abbassata – e qui vive la spiegazione probabilmente più semplice dell’aumento della velocità media – ma le facce sono diventate serie, con un velo di incazzatura verso il mondo che sempre più spesso accompagna questi o queste esemplari di “Musonis”. Un giorno di luglio mi fermo perché vedo un ciclista che ha forato. Era da venti minuti che aspettava/sperava che qualche altro ciclista si fermasse (era senza pompa; sbaglio grave) ma se non mi fermavo io, adesso mi sa che sarebbe ancora lì (vicino a Sospirolo, per la precisione). Pochi giorni dopo a Fianema di Cesiomaggiore noto un ciclista fermo sotto un’albero a telefonare, a una decina di metri dalla strada. Torno indietro e chiedo se è fermo pe problemi. Dice di no, ringrazia, ci salutiamo, e me ne torno agli affari miei. Non troppo tempo dopo buco una ruota. Mentre la sistemo passano 5 o 6 ciclisti. Non in gruppo, sparsi per i fatti loro. Io non avrei avuto necessità, ma uno di loro (una era una donna) mi avesse almeno chiesto; “Oh Manuel, sei proprio tu, nostro Campione dei Campioni. Posso umilmente esserti utile?” Col ca**o! Tutti a tirar dritti e farsi gli affari propri. Ciclisti, ma che ci succede? La bicicletta non era sport di aggregazione, divertimento, condivisione? Tutte cazzate? Beh, almeno abbiate il coraggio di dirlo, invece di regalarci a vicenda falsi sorrisi di circostanza che durano 4 secondi netti, prima di tornare a quel volto triste che sempre più portiamo in giro.
Magazine Ciclismo
Mi spacco il sedere su di un sellino dalla seconda metà degli anni ’80. Per questo motivo voglio tirar fuori una manciata di arroganza e dire che ho visto il ciclismo della domenica in quasi tutte le sue sfumature. Il “quasi” lo ficco dentro proprio per non fare la figura del Padreterno. In generale, cioè facendo una considerazione comprendente 25 anni di boracce svuotate in Valbelluna, i ciclisti oggi corrono di più e sono diventati più tristi. Senza distinzione di sesso e di età, il morbo del “Musonis lungo ciclisticus” dopo essersi evoluto e aver proliferato in massa soprattutto nel trevigiano, oggi è sconfinato ed è diventato ormai sempre più presente anche in Vallata. Facilmente figlio di una mentalità egoistica che dalla vita di tutti i giorni – usiamo questo modo di inquadrare la questione – non viene lasciata a casa quando le persone salgono in bicicletta. Quando iniziai a lavorar di gambe, il ciclista della domenica era per lo più un “atleta” che partiva dai 40, anche 45 anni in su. Un ciclista di 30 anni era roba rara. Ce n’erano di quell’età, ma era gente che faceva corse. A me, i ciclisti invece dai capelli (quasi tutti) bianchi, chiedevano perché alla mia età di allora non me ne stavo a correre dietro a un pallone su di un prato. Con il passare degli anni le strade della mattina di festa si sono riempite non poco e la particolarità, fino alla metà del decennio scorso, era che quando “sconfinavamo” fuori dalle nostre strade notavamo un aumento di “Musonis lungo ciclisticus”. Oggi non serve andare fino a chissà dove. Purtroppo anche dalle nostre parti questo esemplare si è moltiplicato. L’età si è abbassata – e qui vive la spiegazione probabilmente più semplice dell’aumento della velocità media – ma le facce sono diventate serie, con un velo di incazzatura verso il mondo che sempre più spesso accompagna questi o queste esemplari di “Musonis”. Un giorno di luglio mi fermo perché vedo un ciclista che ha forato. Era da venti minuti che aspettava/sperava che qualche altro ciclista si fermasse (era senza pompa; sbaglio grave) ma se non mi fermavo io, adesso mi sa che sarebbe ancora lì (vicino a Sospirolo, per la precisione). Pochi giorni dopo a Fianema di Cesiomaggiore noto un ciclista fermo sotto un’albero a telefonare, a una decina di metri dalla strada. Torno indietro e chiedo se è fermo pe problemi. Dice di no, ringrazia, ci salutiamo, e me ne torno agli affari miei. Non troppo tempo dopo buco una ruota. Mentre la sistemo passano 5 o 6 ciclisti. Non in gruppo, sparsi per i fatti loro. Io non avrei avuto necessità, ma uno di loro (una era una donna) mi avesse almeno chiesto; “Oh Manuel, sei proprio tu, nostro Campione dei Campioni. Posso umilmente esserti utile?” Col ca**o! Tutti a tirar dritti e farsi gli affari propri. Ciclisti, ma che ci succede? La bicicletta non era sport di aggregazione, divertimento, condivisione? Tutte cazzate? Beh, almeno abbiate il coraggio di dirlo, invece di regalarci a vicenda falsi sorrisi di circostanza che durano 4 secondi netti, prima di tornare a quel volto triste che sempre più portiamo in giro.
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Il 27 novembre 2025 da Nicolasit
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