L'Ufficio europeo di selezione del personale (EPSO) ha da poco reso pubbliche le statistiche su quanti presentano domanda per uno stage alla Commissione europea. I numeri sono - per noi italiani - sconvolgenti. Guardare per credere: per lo stage di ottobre 2011, gli italiani svettano in testa alla classifica con quasi tremila domande. Quasi il triplo rispetto ai secondi in classifica, gli spagnoli (940) e ai terzi, i rumeni (670).
Sembra che la Commissione europea eserciti un fascino magnetico sui neolaureati nostrani, nonostante il momento storico, che Euronews cataloga come "i giorni più bui dell'eurozona". Segno di uno spiccato europeismo che ci riporta all'entusiasmo dei padri fondatori?
Difficile a credersi. Piuttosto, la valanga di application sembrerebbe la spia di un imperativo crescente degli ultimi anni tra i neolaureati: fai i bagagli e scappa, prima che sia troppo tardi.
Ad onor del vero, il numero di domande italiane è sempre stato spropositato rispetto alla media. E gli italiani sono il secondo gruppo nazionale più numeroso (dopo i belgi) a lavorare in Commissione. Anche se non mi baso su statistiche e sondaggi di opinione, la percezione maturata in questi anni è che ad attirare i giovani italiani alla Commissione sia l'idea di una grande madre, con tutti i benefici del pubblico e uno stipendio all'ennesima potenza, ma soprattutto, priva dei vizi nazionali che ormai hanno nauseato chiunque.
Alla peggio, si tornerà un'esperienza interessante, pagata più di mille euro al mese e che di sicuro fa curriculum. In un grandissimo numero di casi, invece, lo stage alla Commissione sarà un modo per mettere piede fuori dal Paese, avviare una carriera adulta anche se si è under-30 e magari non ritornare mai più.