Raccogliere qualcosa che attira l'attenzione è un gesto atavico. Avviene un incontro tra un flusso di coscienza individuale e un oggetto sensibile. Dall'incontro origina una scintilla d'attività che spinge alla raccolta, alla conservazione. In questo senso, si può pensare che l'oggetto contenga qualche elemento suo proprio che lo rende differente e più prezioso di altri. In realtà questa differenza non è tanto nell'oggetto, quanto nella reazione che si scatena all'interno del corpo, della mente, di chi lo raccoglie. L'esibizione di una serie di oggetti raccolti è quindi anche una mappatura della mente del presentatore, dei suoi meccanismi di funzionamento e selezione.
Nel caso del fotografico ad aumentare la complessità interviene il metodo impiegato che influenza sempre quanto viene raccolto. La percezione visiva si riduce a quella ottico-tecnologica, diversa e più limitata di quella possibile al sistema occhio/cervello. Una raccolta di fotografie è per questo motivo non solo una mappatura della mente di chi raccoglie, ma anche una forma di normalizzazione culturale dell'esperienza individuale mediata dal congegno e dalle sue logiche di funzionamento.
Non tenerne conto, porta ad equivoci non indifferenti.