«Sarà vero?… Pure Er Piotta nel cahier delle interviste di Scribacchina?…».
Sì, sì, c’è pure lui: il Supercafone.
E vi dirò, soliti lettori: prima d’intervistarlo ero pure un poco prevenuta. Scribacchina è abitualmente poco incline a guardar di buon occhio i fenomeni del momento, i cavallerizzi delle hit d’un’estate. Ricorderete pure voi il refrain di Supercafone - oh, sempre che non siate troppo giovini.
Comunque, dovetti ricredermi. Il Tommaso è un gran bravo giovanotto.
Par quasi copione che le vittime sacrificali di Scribacchina si rivelino essere personcine ammodo, dalla parlata schietta e gradevole.
Dimenticavo: va da sé che col Piotta mica la chiudo qui. Nei prossimi giorni vi sorbirete pure la recensione d’antan del suo bell’album d’inizio millennio, Democrazia del Microfono.
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Novembre 2000
Tommaso Zanello, in arte Piotta. Giovanissimo, ha 26 anni e il rap nelle vene. L’ho incontrato in occasione dell’uscita del suo nuovo album, Democrazia del Microfono: quattro chiacchiere in libertà su musica e vita, condite da un’innata simpatia e da quella gradevole parlata romana che è uno dei suoi marchi di fabbrica.
- Tommaso, cos’è la ‘Democrazia del Microfono’?
“E’ una tesi; nasce da un assunto nel quale credo, e cioè: il microfono è l’oggetto più democratico che esista. Tutti devono avere il proprio microfono, anche le persone più piccole e gli indifesi. Tutti devono poter dire liberamente quello che pensano. Quale mezzo migliore del microfono, quindi, per far sentire la propria voce?”.
- Il tuo vero nome è Tommaso Zanello. Perché hai scelto Piotta come pseudonimo? Cosa significa?
“Non l’ho scelto, è un soprannome dei tempi del liceo. Sono miope, in quel periodo cominciai a portare gli occhiali a cerchio, tondi come le 100 lire: la monetina che a Roma chiamiamo ‘piotta’; i compagni di scuola, identificandomi con gli occhiali e con le 100 lire, presero a chiamarmi con questo nome. Anni dopo, quando cominciai a fare rap, dovevo scegliere un nickname, un soprannome: nessuno, nel mondo del rap, si fa chiamare col nome di battesimo. E’ stato quasi naturale scegliere come pseudonimo il nome col quale sono sempre stato conosciuto, quello col quale mi identificano gli amici: Piotta”.
- Perché fare un brano sul Giubileo? Non ti sembra un argomento inflazionato?
“Sai, vivendo a Roma è inevitabile non ‘vivere’ il Giubileo… I pellegrini sono milioni, di razze e culture diverse. Sembra una cosa fuori dal comune, ma pochi pensano che la realtà di tutti i giorni, a Roma, è fatta di bianchi e neri, di cinesi e asiatici… mille razze, mille tradizioni. Per questo ho scritto Il Mambo del Giubileo: ho voluto descrivere la realtà della Roma di tutti i giorni. In secondo luogo, volevo ironizzare sull’argomento ‘musica delle vacanze’: la scorsa estate sembrava che tutti fossero stati contagiati dalla febbre ispanica, parecchi artisti italiani si sono inventati una pelle iberica. Io, anziché fare come loro, ho preso una frase tipica di Roma (Vengo dal Colosseo/ col vespino rosso bordeaux) e l’ho trasportata in versione mambo/tequila. A modo mio, ovviamente”.
- Come è nata la tua collaborazione con Jenny B?
“Jenny B e io, prima di tutto, siamo amici. La nostra collaborazione artistica è nata con La Mossa del Giaguaro; secondo me Jenny ha una voce meravigliosa, spero che il suo cd (di prossima pubblicazione, ndr) riscuoterà il meritato successo”.
- C’è qualche artista emergente italiano col quale ti piacerebbe collaborare?
“Noi rapper generalmente abbiamo due tipi di collaborazioni: quella con voci femminili del genere Jenny B, che danno una bella sfumatura soul, e quella con altri Mc. Io, personalmente, collaboro con i Cor Veleno”.
- L’hip hop è americano, tu sei romano: come riesci a conciliare queste due realtà?
“Penso che si debba partire dalla propria città e dalla propria cultura per aprirsi a tutta la Nazione e comunicare con essa. Comunicarle il proprio mondo. E’ questo il concetto di base dell’hip hop, ed è per questo che spesso e volentieri nei miei brani parlo romano. Certo, poi ci sono altri brani che trattano temi più impegnati e nei quali preferisco essere il più italiano possibile, prima di tutto nel linguaggio”.
- Riesci a conciliare affetti e lavoro?
“Sì, ed è una fortuna che il successo sia arrivato quando ormai ero cresciuto. Se fosse arrivato quando ero ancora diciottenne, credo che adesso sarei tutt’altra persona. Rispetto a tanti colleghi che sono cambiati radicalmente dopo aver raggiunto il successo, io sono rimasto lo stesso: ho la ragazza da quattro anni e mezzo, lo stesso giro di amici dei tempi del liceo”.
- Non ti senti addosso il marchio di supercafone?
“Sì, ma questo è inevitabile: in fondo è il brano che mi ha fatto conoscere in tutta Italia”.
- Pratichi qualche sport?
“Sì, gioco a calcetto; tra poco entrerò nella Dinamo Rock, la nazionale dei cantanti più giovani: con me ci saranno Jovanotti, Pelù, Ligabue, Sottotono, 883, Africa Unite…”.