Esistono innumerevoli studi, alcuni pregevoli, altri meno, che si occupano della cultura popolare e della civiltà materiale, e ne analizzano tutti gli aspetti del vivere: materiale, appunto, con vasti repertori di oggetti, utensili, nomenclature, classificazioni, etc.
Poco si è detto invece sugli aspetti “morali”, gli affetti, i sentimenti, gli istinti, le intermittenze del cuore che, pure, dovevano esistere anche in una società “dialettale” nel senso di “diversa” da quella dominante e ufficiale.
Riesce a farlo, ancora una volta Gualtiero Gualtieri nel suo nuovo libro “Era come vestire l’acqua. Lessico familiare del tempo chiaro” (Edizioni Ulivo Balerna, 2011).
Dopo il ‘tempo scuro’, quello dell’autunno-inverno, raccontato in “Suonavamo l’allegria”, e il ‘tempo perso’ delle osterie, raccontato in “Cantar di blu”, «viene l’ora in cui tutto diventa chiaro», e non a caso la raccolta si apre con la primavera e si chiude con l’estate. Perché l’estate è stagione delle transizioni e della crescita, concreta e spirituale. Perché proprio di una crescita (una formazione) si tratta.
In “Era come vestire l’acqua” sono raccolte le parole di una bella estate/infanzia, preannunciata da una esuberante primavera. È l’età dei giochi, delle amicizie assolute, delle scoperte. A caratterizzare e dare sostanza e originalità a questi testi sono figure e situazioni che incarnano la ”moralità” popolare, con particolare riferimento al rapporto ora taciuto, ora negato, ora minaccioso, ma sempre potente e incoercibile con la sessualità e la sensualità.
Sessualità e sensualità espresse, carnalmente, da “mani curiose” che tutto toccano o dall’ambiguo e inquietante mondo delle pratiche sessuali, ma anche e soprattutto dalla dimensione incantata della scoperta dell’altro sesso, quella dei primi innamoramenti, dei primi turbamenti, dei primi smarrimenti, dei primi incontri con “sentimenti mai provati prima” per presenze femminili eteree, ridenti e fuggitive, come la Lilia, la Lauretta, la Lalla, l’Elisa, per le quali uno poteva anche sognare “d’esser vestito d’angelo”.


