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Era mio padre - La Bustina di Lakitu - Rubrica

Creato il 06 dicembre 2014 da Intrattenimento

L'uomo che ha fatto di Nintendo l'attuale azienda, a un anno dalla scomparsa

Era mio padre - La Bustina di Lakitu
Quando Hiroshi Yamauchi riceve la telefonata del nonno Sekiryo è uno studente di legge all'Università di Tokyo. È il 1947, e sta per compiere vent'anni. Ha rimandato l'inizio della carriera accademica a causa della seconda guerra mondiale, durante la quale, troppo giovane per combattere, viene dirottato come operaio in una fabbrica militare. Il nonno ha avuto un ictus, e non di quelli lievi. È il secondo presidente della Nintendo, un'azienda di carte da gioco: Hiroshi è praticamente una scelta obbligata per la successione. Ma il nipote non è persona facile, e rimane freddo nonostante il momento e l'opportunità: gestisce la trattativa in modo analitico e cinico, accettando l'incarico con riluttanza, ottenendo un vincolo che a Sekiryo costa molto. Col nipote presidente, nessun altro parente deve lavorare nell'azienda: non nel consiglio di amministrazione, ma in qualsiasi altro ruolo. Hiroshi Yamauchi riceve quel che desidera, il cugino viene licenziato, lui diviene il terzo presidente della Nintendo. Il nonno muore poco tempo dopo. Operai e dipendenti di lungo corso dubitano delle capacità - e dell'autorità - del giovane, e lo contestano in vari modi. Organizzano uno sciopero perché, molto semplicemente, non sanno con chi hanno a che fare. Hiroshi licenzia tutti i manifestanti e qualsiasi altro dipendente anziano, così che la sua figura non possa essere messa in discussione. Da subito stabilisce di essere l'unico a poter decidere quali progetti approvare o rifiutare, l'unico a dettare la direzione della compagnia. Quegli anziani lavoratori probabilmente sarebbero rimasti in Nintendo ancora un po', se solo alla chiamata del nonno avesse risposto l'ideale destinatario, Shikanojo Yamauchi. Ma Shikanojo Yamauchi non poteva sollevare la cornetta, perché non esisteva più; già da anni era tornato a essere Shikanojo Inaba, nel momento stesso in cui aveva deciso di abbandonare la moglie, e il piccolo Hiroshi, per un'altra donna.

twittalo! La storia personale di Hiroshi Yamauchi, che ha preso Nintendo e l'ha trasformata sognando la gloria.

Sogno americano

Nel '59 Yamauchi conquista il primo grande successo della carriera. Ottiene la licenza per distribuire in Giappone le carte da gioco targate Walt Disney, e ne piazza 600.000 in un solo anno. Quota in borsa l'azienda e la rinomina in Nintendo Co., Limited. Per comprendere meglio la situazione e le possibilità di espansione concesse da questo mercato Hiroshi decide di andare negli Stati Uniti, più precisamente a visitare la più grande produttrice di carte al mondo, la United States Playing Card Company.

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Rimane attonito per la ristrettezza della fabbrica e degli uffici: fosse riuscito ad eguagliare quella compagnia, non sarebbe stato comunque abbastanza. L'impero di Walt Disney, quello sì, è qualcosa di paragonabile a quello che Yamauchi ha in mente. Così torna in Giappone deciso a imboccare nuove vie e, lo ribadiamo non vi fosse chiara la situazione, in quel momento Nintendo è all'apice del successo. Pur di primeggiare il presidente porta la compagnia sull'orlo del fallimento, percorrendo strade chiuse e sentieri improbabili, dilapidando il capitale accumulato. Servizi di Taxi, Love Hotel: niente, nessun azzardo paga la scommessa. La svolta arriva solo al tramonto degli anni '60, quando uno dei suoi ingegneri, Gunpei Yokoi, inventa uno strumento per afferrare oggetti distanti. La celebre Ultra Hand, che dà inizio al connubio tra i due: il successo è enorme, il cammino tracciato: Nintendo si sarebbe occupata di giocattoli, così da poter sfruttare i canali distributivi già utilizzati per le carte. Al solito sono l'ambizione e l'intuizione di Yamauchi a suggerire il passo successivo: i costi dell'elettronica si stanno abbassando, così coniugarla agli accessori d'intrattenimento viene quasi naturale. Arrivano dunque i Color TV Game (da collegare alla televisione) e il Big Bang chiamato Game & Watch.
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Per quanto importanti e diffuse, a posteriori queste produzioni non possono che essere viste come tappe in prossimità del traguardo finale: il Famicom (o NES, se preferite). Yamauchi si è accasato da tempo con una donna più giovane, dalla quale ha avuto tre figli. La più grande, Yoko, si è a sua volta sposata con un ragazzo di "buona famiglia", tale Minoru Arakawa. I due vivono in Canada da un po'. Nonostante l'austerità il presidente Nintendo vede di buon occhio l'intelligenza e la gentilezza del genero, che ritiene possano completare le proprie qualità: così Arakawa viene scelto per fondare e guidare la divisione americana della compagnia. È lui che gestisce il lancio occidentale del NES che, esattamente come in Giappone, si sublima in un successo senza precedenti. Yamauchi comanda ancora la società come tanti anni prima, appena insediatosi: pugno duro e competizione interna per ottenere il massimo. Crea tre team interni R&D in contrapposizione tra loro: quando uno intende proporre un progetto l'iter è obbligato, va consegnato al capo e lui, soltanto lui, decide se approvarlo e svilupparlo fino in fondo. Quando un progetto viene accettato, è una sfida per gli altri team a raggiungere lo stesso traguardo. Yamauchi intuisce presto - prima della pubblicazione del NES - che sono i giochi a vendere il sistema, non viceversa; tanto da dichiarare, celebri parole, che "il Nintendo è solo una scatola che la gente compra per giocare a Mario". Per questo motivo preme affinché la piattaforma sia facile da programmare, così che la tecnica non limiti eccessivamente la mente dei creativi. Negli anni seguenti sarebbero arrivati Super Nintendo e Nintendo 64, con poche, chiare costanti: ambizione, arroganza, alterigia. Qualità, successo.

Se e ma

Yamauchi lascia la presidenza della compagnia nel 2002, appena lanciato il GameCube: inaspettatamente come successore elegge Satoru Iwata, opposto nel carattere e privo di alcun vincolo di parentela. Nel 2005 abbandona anche il consiglio di amministrazione, restando comunque il maggior azionista dell'azienda, in possesso del 10% delle quote. Rinuncia alla propria liquidazione, talmente misera da essere stimata tra i nove e i quattordici milioni di dollari, dichiarando che Nintendo l'avrebbe usata in modo migliore.

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Muore nel 2013, e con lui si chiude l'epoca della "grande N", quella altera e maestosa, un'azienda sostanzialmente opposta all'immagine paffuta dei vari Mario, Link e Zelda: una società che ha scritto la storia dei videogiochi non smettendo mai di essere temuta e rispettata da terze parti e concorrenti. Yamauchi sicuramente era contento quando Ocarina of Time è stato proclamato gioco del secolo, ha vinto i BAFTA Awards e ottenuto 40/40 su Famitsu. Ma il suo obbiettivo non era quello, perché Ocarina of Time era un semplice riflesso della sua ambizione, delle sue idee imprenditoriali. No, probabilmente Hiroshi si era già sentito pienamente realizzato quando, a inizio anni '90, un sondaggio americano aveva decretato che, tra i giovani degli Stati Uniti, Super Mario era più popolare di Topolino: una missione iniziata in quel famoso viaggio del '59, e conclusasi trent'anni dopo. Poco tempo prima, precedentemente al tour americano e al "colpo" delle carte marchiate Disney, quando stava per compiere trent'anni, Yamauchi aveva ricevuto un'altra chiamata importante. Era quella del padre Shikanojo, desideroso di rivederlo, di riallacciare i rapporti. Hiroshi rifiuta categoricamente.
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Ma, prima che questa storia si concluda, c'è una terza e ultima telefonata di cui dobbiamo parlare. Quella della sorellastra, che lo avverte della morte di Shikanojo. Hiroshi - da quanto ne sappiamo - si isola per un giorno intero a riflettere, e alla fine trova le forze e la voglia per andare al funerale. Durante la cerimonia incontra altre tre sorellastre e la seconda moglie del padre, tutte persone di cui ignora l'esistenza. Il periodo successivo è duro, Yamauchi sta spesso solo a meditare, ma da quel giorno visita regolarmente la tomba del padre. Chissà cosa sarebbe successo, chissà cosa sarebbe successo se Shikanojo non avesse abbandonato la sua famiglia. Hiroshi avrebbe conosciuto il padre, e avrebbe apprezzato di più anche la madre, che nella sua vita è stata più zia che genitore. Non sarebbe stato cresciuto dai nonni, e non sarebbe stato plasmato a immagine e somiglianza di Sekiryo. Sempre duro, sempre esigente. Probabilmente sarebbe stato più felice, più affabile, avrebbe anteposto le gioie domestiche della vita agli ambiziosi piani a lungo raggio. I suoi figli forse non l'avrebbero temuto, e non avrebbero odiato la sua azienda, Nintendo, colpevole di esaurirlo e prosciugarlo. Quei lavoratori esperti, nel 1949, avrebbero mantenuto il loro posto di lavoro. Nintendo avrebbe continuato a fare carte per tanti anni ancora, una piccola compagnia kyotense impegnata in un settore atipico. Hiroshi avrebbe frequentato il padre fino alla morte, prima di prenderne serenamente il posto. Non ci sarebbe stato Super Mario. Non ci sarebbe stato Zelda. Nessuno di noi parlerebbe di Nintendo.


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