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Era un imprenditore, ora vive di elemosina

Da Maurizio Lorenzi

Il mio articolo pubblicato a pagina 18 de l’Eco di Bergamo del 13.08.2013.  A cavallo di Ferragosto, la riflessione è d’obbligo. Buona lettura.

Articolo Eco di BG 13 agosto 2013 - Era un imprenditore, ora vive di elemosina (6)
Emanuele lo vedo quasi tutti i giorni, al solito posto, a un incrocio nel cuore della città dove la periferia è lontana e nessuno può dire di non aver visto. Da qualche mese lavora qui. Si è scelto un lavoro nuovo, on the road, dopo una vita trascorsa a fare tutt’altro. Mani in tasca, sguardo smarrito, al collo un cartello bianco con una scritta nera, in pennarello. “Se puoi aiutami. Sono senza lavoro. Sono italiano”.

Quando mi accosto a lui, sembra farsi timido. Ha gli occhi gentili di chi conosce l’importanza dell’educazione, la riservatezza di chi soffre l’evolversi delle proprie vicende personali. Porta i capelli grigi pettinati all’indietro, la pelle del volto abbronzata da giornate trascorse all’aperto.

Gli chiedo come sta, sforzandomi senza successo di non essere banale. Lui scuote il capo, fa per parlare poi si blocca. Alla fine, mi chiede semplicemente: “Come vuoi che stia? Non mi vedi come sono ridotto?”. Disarmante.

Intorno a noi il traffico scorre indifferente. Decine e decine di automobili si fermano all’incrocio. Moto, scooter, pedoni. L’incedere quotidiano non si concede pause. Il semaforo rosso scandisce i tempi del peregrinare silenzioso di Emanuele nei pressi delle vetture. Non chiede nulla, si limita a farsi vedere, a ricevere se gli viene dato. Mi confida che si mettesse a raccontare, a tracciare la sua vita, ne rimarrei stupito. Laureato, imprenditore, si è ritrovato di colpo senza una lira. Protestato prima e nullatenente poi, costretto a saldare i debiti mettendo all’asta la casa, ovvero tutto quello che possedeva. Adesso, alla soglia dei sessant’anni, costretto a dover ricominciare tutto da capo, senza prospettive e senza un tetto. Sospira e poi tira su con il naso. Si scusa e dice che non ce la fa parlare. Me ne vado, rispettoso del suo stato d’animo e turbato dentro, anche un po’ arrabbiato. Magari sarà per un altra volta. Un paio di giorni dopo lo ritrovo ancora lì. Stesso posto. Stessa dignità. Orgoglio immutato.

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Mi racconta che sta un po’ meglio. Forse ha trovato un posto dove dormire. Una comunità a Bergamo gli offre dei vestiti, una doccia e un tetto. Almeno dalle 23 alle 7 saprà dove poter riposare. Una piccola certezza che si radica nelle sue giornate. Qualche passante gli ha parlato di possibili opportunità di lavoro. Nulla di certo, ma forse qualcosa si muove. Mi parla di un automobilista che gli aveva dato dieci euro e che poi ha fatto marcia indietro per dargliene altre quaranta “per cenare come si deve”. Forse non tutto è perduto. Prendo la macchina fotografica, tentato di fargli qualche scatto, ma si copre il viso. Si vergogna. Già. A quasi sessant’anni si ritrova su una strada, a fare l’elemosina, in attesa di tempi migliori, al termine di un cammino che lo ha reso solo, in tutti i sensi. Finanziariamente e sentimentalmente. Gli propongo un caffè ma lui rifiuta. Deve sbrigare delle questioni sospese in un’altra città. Mi stringe la mano con la diffidenza di chi non si fida più del prossimo e mi regala un sorriso flebile, prima di abbassare lo sguardo. Lo osservo mentre si allontana e dopo qualche metro, al riparo di un muro, si sfila il cartello dal collo, prima di incamminarsi. Adesso non sembra più un indigente. È tornato ad essere un uomo all’apparenza normale. Senza problemi, senza tasche vuote in un mondo che non guarda in faccia a nessuno. Emanuele è un nome di fantasia, ma la sua storia è cruda realtà. Un cartello appeso al collo e una dignità che stupisce. Ecco i protagonisti dell’ennesima storia moderna a cui abbiamo il dovere di non abituarci. Se c’è ancora qualcuno che non ha il coraggio di indignarsi di fronte a questa società in divenire, alzi la mano. O taccia per sempre. Grazie Emanuele, per il tuo tempo e per la tua dignità. Rimarrà indelebile dentro di me. Me ne vado dall’incrocio, con addosso uno strano senso di sconfitta. Ripenso alla scritta “Se puoi aiutami. Sono senza lavoro. Sono italiano”. Prima gli stranieri, adesso gli italiani. I prossimi chi saranno?

  Maurizio Lorenzi


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