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Era un mestiere

Creato il 27 dicembre 2010 da Cultura Salentina

bici

Quel pomeriggio faceva un gran freddo, era appena calato il sole e l’aria si era vestita di febbraio, solo da qualche ora.

La strada era in silenzio, la vita fuori sembrava scoraggiata da un pungente vento di tramontana che, sottile, riusciva a passare tra le fessure più strette e sibilava a più voci.

Sentii bussare, come ogni volta, due piccoli tocchi secchi e brevi.

Sin da bambina, quel suono familiare, atteso, desiderato, portava con sé un profumo di buono. Ma, da allora era passato del tempo, da quando ad aprire la porta ci andavo accompagnata da qualcuno di casa, da quando, incuriosita, guardavo i bidoncini di alluminio appesi alla sua vecchia bicicletta arrugginita, dalla sella enorme, scucita e stracciata in più punti, dai raggi delle ruote storti e dal campanello indeciso, spesso sordo o scordato.

Sì, da allora era trascorso qualche anno.

Andai ad aprire. Dietro i vetri appannati, riconobbi i suoi contorni, la sua figura incappottata, il suo berretto di feltro nero, la testa chinata mentre si soffiava tra le dita, a scaldarsi.

Appena mi vide mi sorrise, un sorriso un po’ sdentato e negli occhi una tenerezza quasi paterna. Si tolse il cappello, come si faceva una volta in segno di rispetto, ma lo pregai di rimetterselo subito per non prendere freddo. Gli porsi il bricco di latta blu perché lo riempisse come al solito: il latte si versava lentamente, generoso di bianco, morbido e di un profumo intenso, naturale, invogliante alla sete.

Guardavo le sue mani mentre stringeva il bicchiere di alluminio graduato, uno dei più piccoli, la penultima misura, quella dell’aggiunta per i tre quarti di latte, che ci lasciava, ogni sera: aveva la pelle screpolata, escoriata dal freddo e dai lavori nei campi e nella stalla, le dita gonfie, di stanchezza e dal gelo di un inverno impietoso. Aveva la forza di chi vive il lavoro come gioia di cominciare una nuova giornata, per quanto faticosa e dura da sostenere; aveva negli occhi sferzati dalla tramontana, rossi, lacrimosi e socchiusi dal tempo, la serenità di un uomo che vive il senso immenso di una missione, quasi, di un dovere che è al primo posto tra i suoi valori. Amava il suo mondo, i sacrifici che ne facevano parte, le levatacce ogni mattina prima del sorgere del sole, i pascoli nelle campagne con la pioggia, il sole d’agosto, la nebbia e le gelate invernali.

Quando il suo giro gli regalava un po’ di tempo in più, si fermava a raccontare di come i suoi animali, le sue mucche, i suoi vitelli lo ricompensassero di ogni privazione, lo ripagassero di ogni disagio.

Era felice! I suoi ottant’anni erano stati accesi di una felicità incondizionata, e la sua casa, i suoi figli avevano respirato quella purezza.

Ma, quella sera, sentivo nella sua voce un ‘suono’ diverso, ne percepivo dissonanze d’umore, non era la sua visita di sempre, negli occhi notai un pudore di sguardi, che abbassava, quasi timoroso di ciò che vi potessi leggere.

Per tutti era lu Santu ma credo che, Santo, fosse davvero il suo nome.

Era il lattaio del paese, da una vita. Portava il latte in bicicletta, all’ora del tramonto. I suoi tragitti traballanti erano sotto gli occhi di tutti, sempre alla stessa ora, sempre, tutti i giorni. Ero cresciuta col suono della campanella appesa al suo manubrio, ricordo di un suo vitello, il capostipite della sua ‘stalla’. Quando la sentivo avvicinare mi emozionavo, correvo davanti la porta in attesa di vedere quel babbo vestito di buffo, col grande cappello calato fin sulla fronte, una pesante giacca di lana che aveva assorbito i suoi anni odorosi di fieno, gli scarponi da vecchio contadino, inzaccherati di fango, e i suoi occhi sorridenti, luminosi di vero.

Quella volta, no. Avevo quasi la certezza che stesse per dirmi qualcosa che non mi sarebbe piaciuto.

Posò la sua mano sulla mia. Mi carezzò piano e con un tono stentato e tremante mi disse : – Da domani non vengo più, bimba mia -

Lo guardai, muta, azzittita dai miei stessi pensieri.

In quell’istante capii che un pezzo della nostra vita si stava staccando per sempre, lui col suo passato ed io col mio futuro.

Il mondo stava cambiando, la vita lanciava messaggi di fretta, di nuove abitudini, molte famiglie, ormai, compravano il latte nei supermercati, i suoi figli erano andati via, lavoravano fuori e la sua vecchia famiglia di mucche viziate di lui, non avrebbe più dato il latte a nessuno.

Istanti di silenzio furono, per noi, parole.

Mi lasciò strappandomi la promessa che sarei andato a trovarlo, rassicurandomi che mi avrebbe aspettata.

Ma fui io ad aspettarlo, nei giorni a venire.

Da quella sera, per molti anni, il tramonto si colorò di fieno ed il buio risuonò di un campanello lontano.


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