I dati dell'Osservatorio Inps sono, finalmente, arrivati: nei primi tre mesi del 2015 l'occupazione segna piccoli passi in avanti, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato nell'ordine del 24% in più, rispetto al primo trimestre dell'anno scorso.
Dati incoraggianti, soprattutto se sommati all'altro piccolo passo in avanti, di questo periodo: il PIL, sempre nel primo trimestre dell'anno, cresce dello 0,3%. Un'inezia che, però, vale l'inversione di tendenza, rispetto all'infinita serie di cali che l'economia del Paese ha conosciuto negli ultimi passati.
Ovviamente, non è tutto oro quel che luccica: l'aumento dei contratti a tempo indeterminato, trattandosi, soprattutto, di stabilizzazioni di contratti precari, ha apportato una variazione quasi insignificante all'occupazione. Mentre una crescita dello 0,3% dell'economia italiana appare ben poca cosa, rispetto alla ricchezza persa dal Paese. Piccoli andamenti positivi, insomma, ma che fanno ben sperare per il futuro.
Un dato su tutti, però, attira l'attenzione, quel +24% di contratti a tempo indeterminato. Com'è stato possibile, se, fino a pochi mesi fa, l'indeterminato sembrava sulla via dell'estinzione? Ovvio, grazie agli sgravi fiscali, previsti dall'ultima Legge di Stabilità: uno sconto su cui le aziende si sono avventate come rapaci.
Ma come, le imprese non assumevano più, perchè i giovani italiani sono choosy e impreparati? La disoccupazione non era schizzata in alto, negli ultimi anni, perchè il costo del lavoro, in Italia, è troppo alto? La ripresa economica non era ostacolata da un mercato del lavoro troppo rigido?
Se è davvero bastato solo diminuire un po' le tasse, per sbugiardare 20 anni di politiche sul lavoro, allora, la legge Biagi, la riforma Fornero ed il Jobs Act sono stati assolutamente inutili.
Peggio, sono stati dannosi: con la scusa di flessibilizzare e modernizzare il lavoro, queste "riforme" hanno insidiato il male del precariato nel nostro sistema, rendendolo più instabile; hanno distrutto i diritti dei lavoratori, esponendoli ai capricci del mercato; hanno compresso i salari degli italiani, impoverendo i ceti medio-bassi. Hanno scaricato sui lavoratori i costi della crisi.
Erano davvero riforme necessarie? No, non lo erano. Erano solo scuse, vie facili da percorrere per raccattare qualche voto in più dagli italiani o qualche apprezzamento in più dall'Unione Europea, da sempre sponsor della flessibilità a tutti i costi. Un atteggiamento miope e dannoso, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Intanto, il Jobs Act – ancora incredibilmente incompleto - ha definitivamente seppellito l'ormai moribondo Articolo 18, sostituendolo con più precarietà per tutti: perchè non potrà MAI esistere la flexicurity senza reddito minimo e riforma dei Centri per l'Impiego, imprescindibili se si vuole che il nuovo sistema funzioni.
E, infatti, la riforma dei centri – pur prevista da Renzi - è finita nel limbo, mentre il reddito minimo è ancora al livello di semplice dibattito politico.
Vogliamo una riforma del lavoro fatta bene? Allora serve un piano serio e dettagliato, operativo da subito, una volta pronto (non lo spezzatino Jobs Act) e che abbia, come vero e unico obiettivo, lo sviluppo del Paese, ma non a costo della distruzione di Lavoro, Welfare, Scuola e Democrazia
Danilo