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Konstantinos Karamanlis nel 1975, sigla la nuova Costituzione greca - Megalokonomou Photographic Archive
Promemoria Costituzione greca - Art. 4. 1) Tutti i greci sono uguali davanti alla legge. 2) I greci, uomini e donne, hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. 3) Sono cittadini greci tutti coloro che sono in possesso dei requisiti per la cittadinanza stabiliti dalla legge. La revoca della nazionalità greca è permessa solo nei casi d’acquisizione volontaria di un’altra nazionalità o di accettazione di funzioni contrarie agli interessi nazionali presso un Paese straniero, e solo alle condizioni e secondo le procedure espressamente previste dalla legge. 4) Solo i cittadini greci sono ammessi alle cariche pubbliche, salvo le eccezioni previste da leggi speciali. 5) I cittadini greci contribuiscono senza distinzione alle spese pubbliche in proporzione ai loro mezzi. 6) Tutti i greci atti alle armi sono tenuti a contribuire alla difesa della patria, secondo le norme di legge. 7) Non è né conferito né riconosciuto ai cittadini greci alcun titolo di nobiltà o di distinzione. Ricordo che qualche tempo fa, preso da un colpevole vuoto che mi impediva di trovare una definizione adatta ad un fatto storico che volevo raccontare, scelsi – come sovente accade – di prendere la “circonvallazione”, come quella del tram. Quasi sempre questo immaginario viaggio che riporta alle strade, grossolanamente circolari che inglobano gli antichi centri urbani, ha il duplice scopo ed effetto di fornirmi una visione panoramica del circondario e di non farmene avvertire l’odore spesso acre e impregnato dell’attualità. Un odore capace di deviare il corso dei pensieri focalizzandolo su fatti singoli, su particolari che alla fine possono smuovere le passioni ma non incidere sui tentativi di costruire un organico messaggio che possa servire a gettare le fondamenta di migliori strategie. Ebbene, quella occasione (ricordo erano fatti del secolo scorso), che trovo per molti aspetti non dissimile dall’oggi di Grecia, mi induce ancora una volta a riproporre le parole di Erasmo da Rotterdam allorché, non sapendo più con quale stato d’animo affrontare i grandi temi della vita, si concesse il grande lusso di provare a leggere le cose del mondo attraverso “L’Elogio della follia”. Un pamphlet questo, ricco di una modernità disarmante del quale è sufficiente riportarne poche righe della ricca introduzione (una volta si usava sempre specificare al lettore gli intendimenti ed i metodi che avrebbero contraddistinto poi le tesi esposte): “[…]Visto, dunque, che ritenevo di dover fare ad ogni costo qualcosa, e che il momento non sembrava adatto a una meditazione seria, mi venne in mente di tessere un elogio scherzoso della Follia […]D’altra parte, uno che critica il modo di vivere degli uomini così da evitare del tutto ogni accusa personale, si presenta come uno che morde, o non, piuttosto, come chi ammaestra ed educa? E, di grazia, non investo anche me stesso con tanti appellativi poco lusinghieri? Aggiungi che, chi non risparmia le sue critiche a nessun genere di uomini, dimostra di non avercela con nessun uomo, ma di detestare tutti i vizi. Se, dunque, ci sarà qualcuno che si lamenterà d’essere offeso, sarà segno di cattiva coscienza o per lo meno di paura. Satire di questo genere, e molto più libere e mordenti, troviamo in san Girolamo, che talvolta fece anche i nomi. Io non solo non ho mai fatto nomi, ma ho adottato un tono così misurato che qualunque lettore avveduto si renderà conto che mi sono proposto la piacevolezza piuttosto che l’offesa. Né ho seguito l’esempio di Giovenale: non ho mai smosso l’oscuro fondo delle scelleratezze; ho cercato di colpire quanto è risibile piuttosto che le turpitudini […]”. Ecco. “…uno che critica il modo di vivere degli uomini così da evitare del tutto ogni accusa personale …” pare, a me la chiave di lettura più condivisibile per quanto oggi ascolto qui, dalla bocca del fabbro esagitato, dal saggio contadino così come dal professionista, dal politico, dal giudice, dall’artista, dal medico (non tutti in verità), dal politico (d’altronde per il politico gli errori degli avversari diventano sempre voti per sé), dalle innumerevoli anziane pensionate che sembrano circondarmi nel quartiere, dal giornalaio e finanche dal benzinaio che con il tabacchino del chiosco sono tra pochi animali sociali che riescono a svolgere il proprio lavoro con tante persone senza dire una parola ma, con semplici gesti del capo, esprimere tutta la loro attenzione ai nostri desideri. Eppure, aggiunge Erasmo: “…Se, dunque, ci sarà qualcuno che si lamenterà d’essere offeso, sarà segno di cattiva coscienza o per lo meno di paura …”. Manca un tassello al puzzle che vorrei ricomporre ed è la lettura rapida dei titoli di Kathimerini (bontà sua e della edulcorata versione inglese) che nel non riferirmi altro che miserie non nuove ma attese e conosciute, mi dimostra quanto istintivamente siamo indotti a sezionare, aprire, squartare per vedere se tra le pieghe dei fatti vi si trovi il reo, il colpevole, l’untore. Quello che invece lì non c’è, perché lì non sta, poiché mostra di sé solo il risultato dal quale sarebbe opportuno iniziare una sana e produttiva “circonvallazione”. Anche la nascita del mondo in fondo, aveva una causa unica: fu un atto divino di creazione per chi ha fede, uno sconvolgimento chimico di parte dell’universo per i più pratici ed indagatori. Il resto, complesso quanto si vuole, è solo conseguenza. Ebbene, oggi Kathimerini, come è ovvio per un quotidiano, mi presenta per prime le vicende ultime che hanno visto gli accadimenti e le conseguenze degli atti intercorsi tra due persone che, nella fattispecie sono divenuti simbolo di estrema destra e sinistra del paese, di democrazia e di oppressione, tanto che non solo uno dei due ci ha lasciato le penne ma, per induzione, adesso le due fazioni se le stanno dando di santa ragione. Su questa vicenda nuova nella misura in cui diventa il chiarissimo segnale di una condizione di politica latitanza e di una giustizia “fai da te”, emerge la dichiarazione (recitata a reti unificate) del premier, che mostra come lo stesso, evidentemente, viva in una Grecia diversa dalla mia o, quantomeno, stabilisce che io viva in una Grecia diversa dalla sua. “Il governo è determinato a non permettere ai discendenti dei nazisti di avvelenare la vita sociale, di commettere crimini, di provocare e di minare le fondamenta del Paese che ha dato i natali alla democrazia ….” , ha recitato il Samaras in un messaggio a reti unificate, dichiarazione alla quale non c’è altro da aggiungere. Forse se avesse pronunciato queste parole un paio di anni fa avrebbe potuto contare su un minimo di apprezzamento per l’intuizione. Oggi ci sta parlando di ciò che oramai è. Non meno amabili, tanto da strappare il sorriso, sono le dichiarazioni dell’avversario Tsipras, rese a Francoforte, dalle quali si evince che pare si sia alfine reso conto che l’austerità sta severamente minando la coesione sociale (o forse già lo sapeva ed il suo interlocutore non ne era ben informato). Il teatrino si conclude con l’allarme lanciato dal segretario generale del Consiglio d'Europa, Thorbjorn Jagland, che ha inteso metterci in guardia sul prossimo tsunami nazista che si sta abbattendo sull’Europa. Come se di guai non ne avessimo già abbastanza. Evitando bene di chiarire che se così è probabilmente in buona parte non è dovuto alla cattiveria innata dei popoli europei, quanto alle politiche scellerate di cui è interprete tra i principali. In pratica ci ha detto che il pericolo (reale o meno) è un effetto collaterale del suo modo di agire. Un reo confesso. Un fatto è certo. O l’estrema destra greca è convinta di avere un consenso talmente vasto da potersi permettere questi atti impunemente o ad un costo conveniente o, per contro, il premier pensa di essere in grado di adottare il “metodo ERT” e cacciarli a pedate dal parlamento e dalla scena pubblica del paese nelle prossime 48 ore. Sicuramente non si sono fatti una gran bella pubblicità con questo ennesimo gesto di “epurazione dell’avversario” ma, in merito a questi fatti, ecco che è possibile - dopo il nostro giro di “circonvallazione” - formularsi due domande, che sono poi quelle fondamentali e che in molti invece hanno difficoltà a rivolgersi: cosa ha portato oggi il crearsi di questa situazione che da difficoltà nei rapporti contro una “Europa esterna” che ci stava e ci sta imponendo regole (anche) vessatorie, si sta trasformando in lotta interna tra fazioni e classi sociali con episodi che sono comodamente assimilabili ai prodromi di una nuova guerra civile? In questo contesto, che dobbiamo – piaccia o no – considerare come base per una nuova ripartenza, necessitano proposte, idee, dibattiti su come impostare una economia oramai inesistente, linee guida che possano indicare la strada per ricucire tutti gli strappi oramai conclamati all’interno della società. Chi sta lavorando su questo? Chi si sta adoperando a fornire ipotesi e programmi pratici, tecnici, operativi su come ricostruire questo paese? Voglio lasciare il primo quesito alle opinioni di ciascuno perché, seppur importantissimo e fondamentale da comprendersi per non ricadere nel medesimo errore, ci può facilmente indurre a perdersi dietro false discussioni, dietro l’apparenza dei problemi, impedendoci di indagarne le radici come diceva anche Erasmo: “…ho cercato di colpire quanto è risibile piuttosto che le turpitudini”. Radici, che poi, molto semplicemente, così come la nascita del mondo, sono spesso da ricondursi ad una radice unitaria, ovvero al comportamento del singolo ed alla capacità, successiva, del consesso sociale in cui vive. Anche se poi tutti i sociologi grideranno allo scandalo in quanto hanno indicato il “consesso sociale” come elemento con dinamiche a sé stanti e completamente avulse alle impostazioni del singolo. Strada che troppo sovente indico invece come felice scappatoia. Vorrei tuttavia occuparmi del domani. I fatti inequivocabili dicono che, oltre al mero dato risultante dalle elezioni, l’attuale governo, eppur con una maggioranza oramai ridotta a due soli voti, governa. Imperterrito. Spavaldo in certe sue azioni che spesso sanno di regime autoritario. Governa e questo suo fare, giusto o sbagliato che sia evidentemente a molti basta. O, quantomeno basta e basterà per addossargli, un domani, la facile colpa di chi può aver sbagliato nel fare, contrariamente alla morbida innocenza del non fare. Certo, non si è accorto che questo fare ha distrutto ogni e qualsiasi capacità di rinascita del paese (ma tant’è, mantenendosi tutti i privilegi di ogni e qualsiasi casta europea che si rispetti, il fatto non costituisce allarme pressante). Eppure fa. Fa perché nessuno, ripeto, nessuno, è capace di presentare alternative e, intorno ad esse, di raccogliere del consenso. Ad esclusione dei tanti impegnati con quella sportività per la quale un giorno siamo tutti allenatori di calcio, un giorno tutti generali o, come di recente accaduto in Italia, ingegneri navali specializzati in recupero. Non esiste classe politica capace di offrire alternativa a questa compagine. Non esiste una classe intellettuale, salvo sporadicissimi e timorosissimi casi, che abbia alzato una voce (se escludiamo gli accorati ma anche tristi in fondo, appelli di Theodorakis o di Glezos) o abbia intenzione di farlo per presentare una alternativa. Non esiste un qualsiasi movimento che sia di emanazione partitica, sindacale o parrocchiale e financo dopolavoristica o sportiva che sappia andare oltre le eterne lamentazioni. Esistono i tentativi dei singoli, quasi sempre misconosciuti e privi di ogni e qualsiasi programma organizzato che sia più grande dello specifico e specialistico intervento che stanno compiendo. Tutto questo è non fare. Tutto questo non serve più. Siamo rimasti con i giornali che ci raccontano il giorno dopo cosa abbiamo NON fatto e con le televisioni dove invece, in funzione dell’apparire che anche in questo paese pieno di vanitosi, si assiste ad impossibili tavole rotonde (mentre il video ci mostra come le vecchie figurine Panini, 6 o otto per volta, i partecipanti), dove nel parlare tutti insieme la cacofonia esclude che possa nascere una qualche proposta. Un vecchio motivo italiano “Mattinata fiorentina”, cantato dal grande Rabagliati, nel 1941, recitava: “E’ primavera, svegliatevi bambine ….”. la primavera è arrivata da un pezzo, qui, intendendo per essa il momento che l’intellighenzia (e non solo) di questo paese, se esiste ancora, a meno che certe caratteristiche genetiche si siano consumate nei secoli antichi, si alzi ed inizi a fare quel lavoro per il quale dovrebbe, in un paese mostrarsi degna dell’appellativo che porta. Parlo a chi della politica conserva il vero significato che (guarda caso) deriva da "πόλις" per gli amanti dei fasti antichi e sta ad intendere il senso Aristotelico o Pericleo di governare se non quello di Solone o dei tanti altri, augusti, che vi ci sono cimentati nella teoria e nella pratica. Parlo a chi, nel riportare le vicende di questo paese inizi a prendersi la responsabilità di spiegare perché ciò che racconta è una “tragedia”, perché quando parla di “austerità” parla di una condizione difficile ma non per tutti, perché quando tenta (in ben pochi ci riescono) di spiegare come le vicende della finanza siano capaci di modificare pesantemente la qualità di vita anche del più povero, abbia il coraggio, anche per completezza di informazione, di indicare che esistono anche sistemi diversi di procedere. Non basta più il reportage o la foto sensazionale. E poi il silenzio. Non basta l’antifascismo solo il giorno dopo il morto. Né basta, per contro, l’anarchico che tutto rifugge e nulla propone se non l’improvvisazione. Parlo a chi qui insegna e vive di cultura, che esca dal proprio guscio dorato a spiegare come anche attraverso la cultura si può crescere o risorgere. Intendendo per cultura la comprensione della propria storia anche recente, intendendo per cultura il significato della tradizione, intendendo per cultura il significato di quei valori che sono il dialogo, la collaborazione, la comprensione, la solidarietà. Parlo agli specialisti che tanti ce ne sono qui: ingegneri, architetti, medici, archeologi, giuristi, matematici, filosofi, informatici, agronomi, allevatori, coltivatori, artigiani, ricercatori, affinché indichino le strade del fare e si trasformi questo paese in un cantiere, proprio ed anche, ad esempio, attingendo a quei fondi europei che costantemente si rimandano indietro per mancanza di idee, di proposte, di progetti. Parlo ai miei vicini di casa affinché si rendano conto che spazzare il proprio vialetto e gettare tutto sul marciapiede non vuol dire “aver fatto le pulizie” ma solo spostare il proprio sudicio dal privato al pubblico. Parlo anche ai politici, nell’intento di ricordargli che la politica dei privilegi oramai non è più perseguibile. Parlo a coloro che hanno proposte ma le tengono chiuse nel cassetto. Vorrei parlar anche a coloro che hanno portato le loro piccole e grandi fortune fuori dal paese, che hanno trasferito le loro società all’estero. Voi non siete emigranti. Siete turisti. Abbiate rispetto per chi è rimasto. Non è meno furbo di voi, forse solo più sfortunato, o più coerente o che reputano che il personale interesse non sia l’unica voce da ascoltare. Vorrei dire a tutti di puntare sulla qualità così come di grande qualità è, come tutti al mondo sanno, la natura di questo paese. Vorrei dire a tutti che non è più tempo né dell’attesa né del nascondiglio. Non è il tempo di rispolverare vecchie politiche, vecchie ideologie né antiche filosofie a meno che le stesse oggi, nella pratica, non ci servano a ricominciare. Non è più tempo di delegare ad altri il lavoro che ciascuno deve fare con le proprie mani. Non è più il tempo di lamentarsi, ma solo di fare. Tag(s) : #Attualità, #Karamanlis, #Grecia, #Samaras, #Pericle, #Erasmo, #Jagland