Venerdì ho avuto il mio primo incontro ravvicinato – anzi, ravvicinatissimo – con il primo ministro Erdoğan e sua moglie Emine, ad una conferenza internazionale sulle donne e il cambiamento nelle società islamiche (ne parlerò successivamente) organizzata dal ministero della Famiglia e delle politiche sociali. La prestazione oratoria è stata straordinaria, preparata in tutti i dettagli: anche in quelli scenici. Quel che più mi ha colpito è stato vedere una platea composta principalmente da donne – presenze istituzionali da ogni angolo del mondo islamico e donne turche – cimentarsi nello scatto selvaggio da i-phone e poi nella caccia alla foto col premier o con sua moglie: e le più fortunate quasi piangere dall’emozione. Ma il nocciolo politico dell’intervento di Erdoğan è stato la risposta a Sarkozy e alla Francia, all’indomani dell’approvazione da parte dell’Assemblea nazionale di una legge che introduce sanzioni nei confronti di chi “nega” il genocidio armeno. Il premier turco ha invitato il presidente francese a consultare suo padre – legionario per un breve periodo – per avere informazioni sul genocidio [sic] commesso dalla Francia in Algeria (Pál István Ernő Sárközy de Nagy-Bócsa ha però sempre smentito di aver messo piede – da membro della legione straniera – nella ex colonia africana), a non dimenticare l’accoglienza offerta a suo nonno materno, Aaron Mallah, ebreo e cittadino ottomano di Salonicco (poi diventato Bénédict con la conversione al cristianesimo); ma ha soprattutto scatenato l’iralità generale e catturato non pochi voti tirando fuori una lettera incorniciata spedita dal sultano Solimano – nel 1526 – a Francesco I di Valois prigioniero di Carlo V dopo la battaglia di Pavia, l’uno “ombra di Dio” e dotato di una sfilza interminabile di titoli, l’altro chiamato con altezzosità “re di Francia” e basta: lettera che Erdoğan afferma aver già donato a Sarkozy, ma che ovviamente non è mai stata letta. Come dire: “ma chi vi credete di essere? E pensate piuttosto alla vostra, di storia”.
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