Questo attacco frontale contro il sionismo, in ogni caso, non deve essere analizzato nel solo contesto dei rapporti bilaterali turco-israeliani: in profonda crisi dopo l’eccidio della Mavi Marmara (e già tesissimi dopo lo scontro tra Erdoğan e Peres a Davos dopo l’operazione “Piombo fuso” a Gaza); no, il contesto è molto diverso: è quello del recente discorso del premier turco a Midyat (non a caso, zona tradizionalmente multi-etnica e multi-culturale), in cui ha denunciato le forme etniche ed esclusiviste di nazionalismo – il nazionalismo curdo come quello turco. Ha ragione: perché sono stati proprio i nazionalismi esclusivisti a determinare le violenze di massa contro armeni, greco-ortodossi e assiri al crepuscolo dell’impero ottomano; la discriminazione istituzionalizzata di curdi, alevi e tutte le altre minoranze in epoca repubblicana. Ed è questo il grande merito storico di Erdoğan: l’aver avviato un processo per il riconoscimento dei torti del passato e per la creazione di un patto politico basato su basi diverse, sulla parità dei diritti e della dignità di tutti i cittadini turchi qualunque sia la loro origine etnica; i negoziati di pace col Pkk, infatti, sono oggi possibili solo perché i curdi hanno cominciato a ottenere diritti e dignità.
Il sionismo, invece, con la pretesa di poter amministrare uno “stato degli X” laddove esiste una cospicua minoranza di “non X”, è quanto di più distante esista dalle forme liberali di democrazia ed è in concreto causa perenne di violenze e instabilità. Il mondo, però, continua a non rendersene conto.
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