Erdoğan superstar

Creato il 19 settembre 2011 da Istanbulavrupa

Egitto, Tunisia, Libia. Il viaggio del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan in Africa settentrionale, la scorsa settimana, ha reso manifesta la volontà della Turchia di recitare un ruolo da protagonista nella costruzione – innescata dalle rivolte della “primavera araba” – del nuovo Medio oriente; un ruolo di riferimento politico e di catalizzatrice dello sviluppo economico, come ha testimoniato la presenza di sei membri del governo (tra i quali i ministri degli esteri, dell’economia, dell’energia, dei trasporti e della difesa) e di due aerei carichi di imprenditori di primo piano al seguito del premier: un ruolo contrapposto ma non pregiudizievolmente ostile a Israele. La prima tappa, quella del Cairo, è stata decisamente la più significativa: Erdoğan è stato accolto da una folla festante al suo arrivo in aeroporto, con poster, striscioni e cori; hai poi incontrato i massimi vertici istituzionali, politici e religiosi; ha pronunciato due storici discorsi nella sede della Lega araba e all’opera della capitale egiziana, ha concesso interviste alla tv; ha firmato il protocollo istitutivo dell’Alto consiglio di cooperazione strategica, lo strumento privilegiato – insieme all’accordo di libero scambio siglato già nel 2005 – per cementare un’alleanza destinata a riassestare gli equilibri di forza nella regione.

Due gli appelli lanciati dal premier turco. Il primo, rivolto direttamente ai ministri degli esteri riuniti della Lega araba che hanno apparentemente gradito: fare della battaglia per il riconoscimento dello stati di Palestina un sforzo congiunto arabo-turco, serrare i ranghi per costruire un futuro comune di libertà e giustizia; mentre Israele è stata chiamata ad agire con ragionevolezza e con responsabilità, ad accettare le condizioni turche – scuse e risarcimento per le vittime della Mavi Marmara, fine del blocco di Gaza – per un ritorno alla normalità nelle relazioni bilaterali. Il secondo, alle amministrazioni provvisorie create dalle rivolte contro i precedenti dittatori e ai regimi autoritari attualmente al potere, in primis alla Siria di Assad ma senza escludere nessuno: scegliere per il proprio futuro istituzionale il “modello turco” fondato sulla democrazia e la laicità, un modello – secolare ma non laicista – in cui tutte le religioni vengono ugualmente rispettate; è il modello creato in Turchia dall’Akp neutralizzando il ruolo abusivamente politico delle forze armate e della magistratura, riconoscendo alle minoranze pari dignità e piena legittimità: che verrà formalizzato nella nuova costituzione, la cui elaborazione inizierà alla ripresa dei lavori parlamentari il 1° ottobre. Una proposta che ha lasciato piacevolmente di stucco molti analisti occidentali, a cui delle ben orchestrate campagne di disinformazione – assecondate da corrispondenti compiacenti – avevano consegnato un Erdoğan islamista o autocrate. Hanno dovuto ricredersi.

Tra gli accordi siglati, due meritano particolare attenzione: quello sulle esplorazioni petrolifere congiunte nel Mediterraneo orientale, che lascia presagire un riallineamento – Turchia ed Egitto da una parte; Repubblica di Cipro, Grecia e Israele dall’altra, forse col sostegno russo – nel grande gioco energetico che sta per scatenarsi – sono previste per il 1° ottobre le prime trivellazioni al largo di Cipro – nel mare nostrum; quello per la realizzazione di una linea per il trasporto di elettricità in tutti i paesi della sponda sud, dalla Siria al Marocco e con l’eccezione di Israele: un progetto di integrazione regionale. Le altre due tappe, la Tunisia e la Libia, si sono rivelate dei semplici corollari: Erdoğan ha continuato a essere accolto da trionfatore (ancor più di Sarkozy e Cameron, che lo hanno anticipato di un giorno a Tripoli e Bengasi), ad incontrare tutte le componenti istituzionali e politiche, a offrire puntualizzazioni ed elaborazioni sui suoi due discorsi, a favorire la firma di accordi soprattutto commerciali, a proporre un nuovo Medio oriente. Un Medio oriente più libero e più prospero grazie ai consigli e agli investimenti della Turchia: che vuole esercitare leadership, ma non egemonia.



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