OTTUSI, CONTUSI E CONTENTI
Ma quando siete allo stadio, o davanti a uno schermo tv, e alla lettura della formazione della squadra di casa vi tocca sentire queste nuove voci incatarrite da bullo cretino che vanno diffondendosi ovunque come una moda pestilenziale, queste intonazioni invasate da spaccone odioso, da rintronato demente, sovreccitato e ubriaco, da strillone del luna pork degli imbesuiti, questo fragore che pare tirato su da casse di risonanza anali (e che forse li fa sentire molto americani, perché come sempre sappiamo imitare solo il peggio del baracconismo baccaglione d’oltre Atlantico) con cui vengono non letti ma ululati vomitando fuoco i nomi dei giocatori (con gli spettatori che da brave bestioline ammaestrate dicono in coro il cognome), non vi viene istintivo parteggiare con tutto il cuore per la squadra in trasferta, persino se quella di casa è quella per cui tifate fin da piccoli?
Per non parlare dell’immensa carica positiva che può infondere nei calciatori ospiti una così becera mancanza di rispetto (“Adesso ti facciamo vedere noi, coglione!”), mentre se fossi uno di casa la vergogna per cotanta sgraziata goffaggine mi farebbe venir voglia di sprofondare, e rischierebbe di ammosciarmi la prestazione atletica! (Ma forse le teste dei giocatori funzionano alla rovescia, in fondo sono gladiatori semianalfabeti, mica pensatori).
Ma perché non ritornano negli zoo suburbani da cui sono venute, queste sgradevoli e antipatiche vociacce da wrestling? E poi parlano di portare i bambini allo stadio: io, personalmente, avrei assai più paura di farmi rincoglionire e traumatizzare un figlio da queste orride ugole (nell’era delle quote rosa, c’è anche la versione valchiria incinghialita), o dalla stronza pubblicità sparata a tutto volume, che non del pericolo di qualche intemperanza degli ultras!
Ma in questi casi mi tocca fare la figura dell’unico brontolone. Come la prima e ultima volta che commisi l’errore di mettere piede in un volgare multisala, e il solo a borbottare contro gli spot a tutto volume ero io: gli altri mi guardavano con la faccia da fessi, come fossi stato un dinosauro o un venusiano, infastiditi da me anziché dagli spot. (Fu anche divertente, perché alla fine del supplizio rimbombò a due miliardi di decibel lo slogan “One station one nation”, e poi, nell’improvviso totale Silenzio, riecheggiò nella sala il mio profondo e sconsolato “Ma vaf-fan-culo”, e lì qualcuno rise di gusto). O come quando te ne stai in spiaggia, al bar di uno stabilimento balneare, cioè in un posto dove per stare PAGHI, e vorresti berti in santa pace qualcosa (che a sua volta PAGHI) mentre chiacchieri o giochi a carte con gli amici, e ti tocca invece sopportare il disturbo di quei maledetti altoparlanti, che almeno diffondessero bella musica di sottofondo, no, sono sempre collegati a qualche stupida, becera, insulsa radio litoranea, che scagazza a getto continuo cazzate immani, ragliogiornali con stronzate regionali, e quel che è peggio, tonnellate di perniciosa pubblicità. Una volta sono sbottato coi ragazzi che stavano lì con me, perché ancor più di quella violenza mi feriva il fatto che a loro sembrava non arrecare il minimo danno:
“Possibile che questa merda dia fastidio solo a me?”
“Noi non la sentiamo nemmeno”, è stata la risposta, compiaciuta anziché preoccupata.
Ecco cosa ci sta regalando l’Evoluzione discotecara della specie: l’Homo Frastornatus.
Ottuso e felice.
p.s.
A proposito di menti pedatorie (e giornalistico-sportive annesse): poche ore dopo aver adocchiato sul sito della gazzetta un articolozzo sull’italiano Sirigu, che da quest’anno difende la porta del Paris Saint Germain, elogiativo non per il fatto che sia un (davvero) ottimo portiere, ma perché, secondo l’articolista, parlerebbe francese come fosse la sua lingua da sempre, me lo sono casualmente beccato in diretta per un’intervista al termine di Nizza-PSG. Peccato che ogni tre parole il buon Sirigu ripetesse “la gare” nel senso di “la gara” (il pessimo vizio italiota di dire “gara” invece di “partita”).
Qualcuno per favore gli spiega che “gare”, in francese, vuol dire “stazione”?