Eri arrabbiato, quando mi hai detto che eri innamorato.
Quell'unica volta, l'ultima volta che ci siamo visti.
Non dovevi, non sono cose che si dicono così. Non sono cose che si dicono rinfacciando, con la faccia dura, gli occhi bassi, la gamba che balla su e giù.
Non ti ho risposto perché non so rispondere a queste cose. Perché non era quello il modo, non era il momento. Non era la verità e io non so dire bugie.
La verità è che mi fai sorridere. Quando ti vedo, quando mi chiami, quando mi mandi un messaggio per dirmi che il tuo divano sputa forcine.
La verità è che non sono pronta a lasciar perdere. La cena con i tramezzini preparati alla maniera di Cracco accompagnati dal the al limone con retrogusto muschiato, il gelato spalmato sui biscotti per copiare Buddy, il tatuaggio che non ho il coraggio di farmi disegnato con la biro (con il tuo nome), il film sul divano che va mentre le mani si graffiano i palmi e le gambe si litigano il pouff, farti venire i brividi accarezzando i capelli cortissimi sulla nuca, la mano sulla schiena o intrecciata sotto al tavolo quando tutti gli altri non vedono, litigare perché il Milan deve mandare via Ibrahimovic e invece no lo deve tenere, mettere quella maglia perché è morbida e ci puoi appoggiare la faccia.
Mi mancano i tuoi minuti, le tue ore, le voglio, mi servono.
Come si chiama quel momento? Cosa c'è, appena prima di innamorarsi?