Erica Jong: “Quant’eran belli
i pompini d’una volta!”
di Iannozzi Giuseppe
Erica Jong, classe lontano 1942, ha scritto quella che si suppone potrebbe essere la sua biografia, “Come sedurre il Demonio”: 250 pagine, Bompiani, 16 euro. L’autrice di “Fear of flying” (1974) e di una biografia su Henry Miller, nonché di diverse raccolte di poesia, questa volta ci racconta di sé, della letteratura anche ma solo vagamente qua e là, una sorta di rovinosa distrazione che ci distrae dall’argomento principe, la fellatio. Sì, perché la fellatio è tutto quello che c’è da leggere e da sapere su Erica Jong, sul suo rapporto con la letteratura e il mondo maschile. Quello femminile, di mondo non c’è, se non per distratti accenni: parrebbe comunque che la Jong sia una grande ammiratrice di Sylvia Plath, però non del suo suicidio. Per i pochi che non lo sapessero la fellatio è un semplice coito orale, ovvero un pene che il partner prende in bocca per succhiarlo fino a provocare (nel maschio) l’orgasmo, che si manifesta con un getto di seme: secondo le preferenze della coppia, o di lui o di lei, può esserci l’ingoio.
Oggi Erica Jong ha la bellezza di sessantaquattro anni, tanti libri pubblicati alle spalle e tanti, tanti amori travagliati, forse solo fatti di parole orali. Un libro che non ha ragione di esistere: il diario di una ultrasessantenne che non riesce proprio a dimenticare, con un po’ d’amara ironia ebraica, quel periodo splendente di quand’era giovane e bella, dagli uomini concupita.
“Come sedurre il Demonio”, soltanto un macabro tentativo, peraltro fallito, di scrivere un manuale di scrittura. “Come sedurre il Demonio” è anche un ritratto banalmente femminista, di tanti cliché: un fallimento nel fallimento, diario noioso incentrato sulla fellatio, e un manuale di scrittura che non c’è nelle duecentocinquanta pagine stampate con generosa interlinea.
C’è solo una cosa da leggere in “Come sedurre il Demonio”, scritto da una attempata sessantaquattrenne, Erica Jong, che in copertina si fa vedere bella e patinata e che invece è più andata di mia nonna nella tomba. Dicevo, una sola parola da leggere, e non c’è bisogno che sia la Jong a firmarla la parola, e non c’è affatto bisogno del libro. La parola magica è: fellatio. Tutto il resto – quale resto? – non c’è: lo scandalo è pubblicare simili emerite cazzate spacciandole per letteratura a difesa del femminismo.
La Jong, diciamocelo pure senza mezze misure con tanto di pleonasmi, com’è giusto che sia, meriterebbe solo un bel calcio su per il culo. E però, poi fa pena – e mai un pene: ché il marito il Viagra mica lo può prendere dopo l’accidente che gl’ha preso (un aneurisma aortico) e che a momenti se lo portava all’altro mondo. Povera, povera Jong: molto frustrata. E manco una frustata come ai vecchi tempi. Non le resta che scrivere di sé e di quante volte l’ha succhiato il bel turgido bigolo, quando i denti non avevano ancora una carie e i capelli gl’erano color del grano maturo, mentre ora sono sol più colorati e pure malamente.
C’è che la Jong è decisamente ridicola: racconta, racconta, racconta di quant’eran belli i pompini d’una volta, ma di vera scrittura non c’è traccia, non una (c)acca, non ci dice assolutamente un cazzo sulla letteratura, tranne il fatto che parrebbe che per andare avanti, se sei donna, devi prendertelo negli orifizi – in tutt’e tre -, altrimenti non ti pubblicano manco se hai simpatie ebraiche o sei ebrea certificata. Insomma, un po’ di vittimismo a parte, un po’ tanto, forse voleva scrivere un manuale di scrittura sulla falsariga di “On Writing” di Stephen King, ma il risultato è una autobiografia penosa, di cliché. E meglio ancora: d’una società che sappiamo, che non è diversa né in America né qui, con la non poco grande aggravante però che oggi tu o io o lei (una lei ipotetica quest’ultima) pubblichiamo solo se diamo via un nostro orifizio (o più di uno) a un pederasta, o ci tagliamo i coglioni per andare incontro a chi vorrebbe da noi altri favori, non necessariamente legati alla carne.
Rimane il fatto che “Come sedurre il Demonio” è uno di quei libelli che occupano tanto spazio in libreria e che vengono promossi in maniera oltremodo vergognosa: un libraccio che è in tutte le vetrine, che è sugli scaffali migliori, che è proprio bene in vista in ogni libreria. E adesso che la Kylie Minogue è guarita dal cancro al seno, ha tirato giù una bella favoletta per bambini, che in Inghilterra è già stata presentata in occasione – manco a dirlo – d’una sfilata di moda, dove la Minogue s’è gentilmente prestata a far anche da modella per alcune griffes. La favola della Minogue s’intitola “The Showgirl Princess”, e la storia, per quel che se ne sa, è indirizzata soprattutto a bambine di età compresa tra i 5 e gli 8 anni; e ovviamente si racconta di una cantante alla ricerca febbrile delle sue scarpette smarrite prima dello show. Così dopo la Veronica Ciccone, in arte Madonna, con le sue fiabe per bambini, adesso pure la Minogue: speriamo solo che nessun editore qui in Italia si prenda la briga di portarci la favoletta della principessa Kylie che sogna di diventare una rockstar.
Io ho perso una scarpa (scarpetta!), non è di cristallo, non è preziosa, è però molto grossa, diciamo pure senza mezze misure che è uno stivaletto maschio con un paio di buchi ben in evidenza sulla suola: se qualcuno dovesse inciamparci per caso destino distrazione o per una sua smaniosa pazzia, mi faccia la cortesia, lo rimetta all’Ufficio Oggetti Smarriti. Io, prima o poi, da quelle parti ci passo e me lo raccolgo da me tirando su un generoso vaffanculo a cenerentola!
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