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Erica – Racconto vincitore del contest sull’elemento Aria

Creato il 24 dicembre 2014 da Visionnaire @escrivere
Immagine di Lynn Greyling

Immagine di Lynn Greyling

Mancano pochi passi per raggiungere la cima. Erica è appena scesa dall’auto e si guarda indietro.
Da quell’altezza può vedere il paese e le città vicine. Tutto è piccolo e lontano, ma i colori che si impigliano sulla retina sono limpidi.
I contorni delle case e degli edifici più alti sono netti, puliti. Niente foschia, solo la sensazione di guardare il mondo con una lente grandangolare.
Non indugia oltre, torna a girarsi e davanti a sé, ai piedi delle ruote della Opel Corsa scassata, si apre un sentiero largo lastricato da grosse piastre di argilla essiccata.
Inspira un lungo sorso d’ aria. Sa di erba e neve, sa di posti lontani; ancora è presto per l’inverno, ma da qualche parte è già arrivato.
Muove alcuni passi, tra poco sarà abbagliata dalla maestosità dei raggi di un sole al tramonto.
Non solo.
Conosce quel luogo e la china che sta salendo è l’ultimo riparo.
Poi solo vento: aria compressa nei polmoni di Dio lanciata sul mondo col suo grido d’amore.
Lo stesso che Erica sente da sempre e che viene a condividere con Lui. Amore che non sa ricevere, e forse nemmeno dare. Se non qui.
Eccolo il vento con tutta la sua potenza. Erica non ha fatto in tempo ad arrivare in cima e già il suo corpo deve imprimere una forza maggiore e contraria per proseguire e per respirare.
Lo schiaffo al viso, al torace e allo stomaco l’ha sorpresa solo per un momento, i capelli le hanno frustato gli occhi, che si son messi a lacrimare. Forse non solo per quello.
Attraverso la lente liquida osserva la valle sotto di sé, un cratere di calanchi solo parzialmente coperti da vegetazione. Il sole illumina le creste, ma non riesce a raggiungere la profondità di quelle ferite.
I rari fili d’erba sono costretti a genuflessioni continue nella direzione dettata dalla corrente e in quel momento sembrano le dita di un intero popolo puntate su di lei.
Sulla volta celeste strascichi di nuvole spalmate in un’unica direzione, come zucchero filato disfatto. Bianco su blu cobalto in quel fine giornata che le si inchina davanti, come ai piedi di una regina.
Si sente sacerdotessa ogni volta che viene in questa valle, sente che qui c’è un contatto diverso, diretto.
Alza il mento, allunga il collo e cerca di sincronizzare il respiro con quello del vento. Si lascia esplorare il volto dalla forza dell’aria, come lo lascerebbe fare a un cieco.
Chiude gli occhi ed entra in una dimensione globale fatta solo di sensazioni. Paura. Paura, ma anche gioia. Non quella che ti fa ridere, ma quella che riempie i polmoni e dilata le arterie. Tutto si  mischia. Le percezioni crescono e si espandono. Non basta il corpo di Erica a contenerle. Apre le braccia, si lascia avvolgere dall’energica potenza che le viene incontro, violenta come solo la vita sa essere nello scontro con la morte, brutale nella sua disperata lotta per combatterla.
Volare… entrare a far parte delle correnti ascensionali e disperdersi. Dissolversi per ricollegarsi all’uno indivisibile e concepirne il disegno. È il desiderio di Erica, attuale e ancestrale allo stesso tempo.

Stefano si chiude la porta alle spalle, ha appena fatto una doccia, come ogni sera dopo il lavoro; non sopporta la puzza del lubrificante che usa tutto il giorno in fabbrica e che s’infila sotto le unghie. È diverso dal profumo di quello che usa per la moto, non c’è paragone, quello lo adora.

C’è un altro odore che apprezza adesso, è quello tiepido dell’aria che annusa mentre si dirige al garage.
Sa che presto arriverà il momento di parcheggiare la sua enduro per un lungo letargo, ma adesso è ancora in tempo, c’è ancora almeno un’ora di sole e il freddo è previsto più avanti.
E lui ha proprio voglia di cavalcare l’Aprilia che gli ha regalato suo padre tre anni fa al compimento dei diciotto.
Vuole litigare con terra e aria per trovare la pace che gli è sfuggita.
Ha un chiodo fisso da ieri sera, e lo deve scacciare con una scarica adrenalinica su strada e sterrato.
Infila il casco e già il pensiero di Erica sembra ovattarsi. Quella è tutta matta, non c’è bisogno di spendere troppe energie per una così. Sì, carina è carina, non c’è dubbio: alta, magra, bionda. Belle fossette sulle guance quando sorride, occhi verdi che si illuminano quando si diverte…
Stefano monta e mette in moto, parte accennando un’impennata e imbocca la via. Che si fottano quei pensieri.
Il nastro asfaltato che gli corre incontro è una goduria, lui ama le curve di quella salita, le conosce a memoria. A ogni dosso fa perno con i piedi sulle pedaline, tende i muscoli delle gambe e alza il culo.
Sterza, curva e drizza fino alla vetta della zona collinare, dove la strada diventa  un sentiero e la ghiaia sotto le ruote gratta il passo.
L’aria sbatte contro il K-Way, il rumore è attutito dal rombo della moto, ma Stefano percepisce il ritmo di quel suono con la pelle.
È tutto così piacevole… come una partita di sesso; un’esplosione di energia così speciale da essere capace di eliminare ogni altro pensiero.
Eppure oggi, né la moto, né il sesso della sera precedente cancellano quella sensazione di malessere che lo tormentano.
Anzi, oggi è proprio il secondo a creare confusione e riflessioni che non vuole assecondare.
Sa che c’è qualche cosa che non quadra in quello che è successo, qualcosa di stonato. Ma gli fa male dirigere l’attenzione  sui flashback annebbiati dalla volontà di cancellarli.
Sì, li vuole proprio eliminare. Prima di ieri sera era una persona diversa, adesso non sa come definirsi.
Erica gli sta dietro da una vita, dalle medie o giù di lì, lo sanno tutti e lo sa anche lui. Quello che è successo, per larga parte è una conseguenza: il giro in macchina per vie traverse, una canna, qualche birra e due amici; lei succinta e loro sballati. Che c’entra se alla fine diceva no? Fino a un momento prima era tutta divertita, si vedeva che le piaceva essere al centro delle loro avance: faceva la spiritosa e distribuiva risolini buffi.
Se non voleva doveva restare a casa, mica gliel’ha chiesto lui di salire.
Esatto. È stata lei a provocarli, è inutile che alla fine abbia tirato fuori quell’aria da Maria Addolorata, quello sguardo perso nel vuoto e quel mutismo di condanna.

Il cuore batte più veloce, la curva a gomito che ha appena superato lo ha messo a dura prova, era distratto. La ghiaia gli ha fatto deviare la marcia. Ha frenato. La ruota è slittata e lui si è trovato col culo dove prima c’era il muso della moto. Stefano sta lì fermo, guarda il dirupo sotto. Stava per fare un bel volo.
È nero di rabbia, il respiro ha aumentato la frequenza, il pensiero di Erica deve concludersi lì. Basta.
Lei lo voleva. Niente da aggiungere.

Non ha pensieri razionali adesso, non sente più le voci dei suoi amici che le dicono di star ferma, che le dicono: «dai, vedrai che ti piace».

Per tutta la notte le ha udite, e per tutto il giorno. Fino a poco prima.
Sentiva la sua in sottofondo: Sei stata tu a cercarti rogne. Anche se urlavi te la sei voluta. Con quella mini cosa credevi di fare, eh? È chiaro: loro hanno solo seguito l’istinto. Sei tu la causa di tutto, è tua la colpa.
Strane vie ha percorso il suo cervello per condurla a quel ragionamento finale.
Adesso invece solo il sibilo del vento, nessuna emozione se non la certezza di essere abbracciata a Dio.
Le lacrime escono suo malgrado, si allungano e si fanno strada verso le tempie trasportate dalla forza di quella corrente massiccia. Non ha bisogno di asciugarle, evaporano in un soffio.
Non è un pianto triste, è un pianto e basta. Arido di sentimenti quasi. È stupita di non sentire dolore. Dovrebbe. E invece niente.
Lei vorrebbe pensare, approfondire, scandagliare la sua mente. Si sforza di rimanere lucida ma è come se il suo cervello avesse cancellato tutto. È come se il vento l’avesse trapassata e pulita, sgravandola dalla malvagità del mondo. Piange.
Gli occhi spalancati e fissi sul sole morente che si lascia guardare senza accecare. La mente all’infinito.
Non sa perché, non si domanda come mai.
È istintivamente attratta dalla profonda sacralità di quella valle, come fosse un tempio spirituale, unica dimora dell’amore.
Il sole sta per spegnersi, il crepuscolo avvolge il paesaggio con le sue tinte serene, le correnti d’aria si stanno ritirando come in raccoglimento… come in preghiera.
Le recenti folate l’avvisano dell’imminente commiato.
È la sua ultima occasione, poi torneranno le voci, poi tornerà l’umiliazione e la meschinità degli uomini.
No, non lo sa proprio il perché, non si domanda come mai o come è successo.
Le sue gambe hanno agito da sole. Un balzo spontaneo, una spinta verso l’alto, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Vola.
Vola e sente che tutto si è concluso. Questa è la quadratura del cerchio, è come doveva essere.
È l’ipnotica risoluzione al magnetismo di un mistero ora svelato.
Erica non ha più domande adesso, non sente il rombo di una moto in lontananza che spezza il silenzio di quella valle, non sente più niente adesso e ha smesso di piangere.

È buio ormai, ma Stefano non si decide a fare rientro. C’è una pace nell’aria che si diffonde nella sua anima. Ha finalmente ritrovato la serenità che cercava.

La moto è accesa, ma è fermo in un punto di quelle colline che gli sembra di non aveva mai notato.
Non lo sa perché, non sa come mai, ma qualcosa lo ha accarezzato, e ha cancellato il disagio precedente. Per un attimo gli sembra di avere risposte a misteriose domande, è come se un’onda d’amore lo avesse avvolto in un abbraccio.
È un attimo. Nel successivo tutto è già dissolto.
Stefano torna a respirare. Era in apnea prima. L’aria ricomincia a irrorare di ossigeno il sangue; la vita ha saputo riprendersi il suo soldato, sordido il suo gioco, lusinghiero e mendace.
Stefano afferra la manopola del gas e con un’impennata dirige il suo cammino verso casa. Una cena frugale e poi via. Gli amici lo aspettano al bar. Forse è meglio non parlare di Erica, è stato solo un gioco e lei dovrà farsene una ragione. Per quanto lo riguarda ci ha già messo una pietra sopra. Una ragazzata.

Lassù sulla valle, l’Opel Corsa scassata attende silenziosa.
Domani è un altro giorno, ma non porterà speranza come in “Via col vento”.

Stefano si morde un labbro, ha saputo. La sua coscienza comincia a mollare il freno e uno strano sentimento si affaccia. È ancora un virgulto acerbo, e non ha la forza di erompere a sconquassargli il cuore, ma si esprime col ricordo di quella carezza, l’ultimo saluto di Erica. Era lei, ne è certo. Ma cosa c’era nascosto in quell’ultimo gesto d’amore? Dovrà pensarci, forse c’è un nesso tra il dolore che sente nascere oggi e quella carezza, forse ha sottovalutato gli eventi.
È tardi, il crepuscolo ha già sistemato le coltri e il cielo si spegne. Stefano è indeciso. È seduto sulla moto. Tornare lassù forse gli chiarirà le idee, può essere che ci siano risposte, può essere che un giro fughi le sue perplessità.
Qualcosa lo trattiene però, il buio forse.
No è un’altra cosa, non sa dargli un nome, ma un nome c’è, è paura.
Scende dall’Aprilia, mesto è il suo impugnare le manopole, e i suoi passi sono lenti.
Il giro può aspettare, non ha voglia di impennare, e le curve oggi sono troppo strette anche se sono quelle di ieri.
«Domani» si dice, «oggi è ancora presto.»

Lassù sulla valle il vento ha ricominciato a soffiare, ha delle risposte.
Volente o nolente un giorno Stefano troverà il coraggio di sentirle, perché la vita è cosi.
Sordido il suo gioco, lusinghiero e mendace.

Il racconto che avete letto è opera di Diana-blues ed è risultato il migliore del Contest sull’elemento Aria. Il tema da seguire era stato scelto da Kapello (vincitore del Contest sul Fuoco).
La traccia scelta, e poi rielaborata dallo staff, era: Aria. 1) Bisognava scrivere un racconto incentrato sull’impatto fisico con un flusso d’aria.
2) L’impatto con l’aria, oltre a fare da ambientazione principale, doveva essere determinante per lo sviluppo della trama.
3) L’aria (e l’impatto con essa) doveva essere presente nella sua forma reale e non intesa in senso metaforico e bisognava descrivere le sensazioni che il personaggio viveva al contatto con essa.
Il limite massimo di caratteri era di 14.000, spazi inclusi, con 200 di tolleranza.
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    Diana-Blues

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