Accanto alla fetta, pittoresca e sparuta, dei nostalgici di un mito nazista mai conosciuto (e mai nato) che si sono profusi in lodi incorniciate dal revisionismo più improbabile ed astorico nei confronti del massacratore di italiani Erich Priebke (che ricordo non essere stato mai un militare), se ne affianca un’altra, più nutrita, di estimatori ripiegati su un afflato meno rutilante, più discreto ma nondimeno potente ed esecrabile, sebbene diverso da quello dei primi. Si tratta di personaggi legati alla destra, non estrema e non nazista o fascista, ma che comunque hanno sentito il bisogno di collocarsi al di là del giubilo collettivo per la morte del boia vegliardo. Non lo hanno fatto, ripeto, per un sentire ideologico, ma per un riflesso automatico dell’istintualità partigiana, che li ha condotti a schierarsi, in qualche modo, dalla parte di una contro-icona della sinistra, proprio perché tale. Non è facile l’elaborazione e la comunione di simili tesi, un po’ per la paura della pubblica riprovazione, un po’ per il condizionamento posto in essere da una sovrastruttura culturale che ci permea ed impregna fin dalla nascita, e allora ecco l’escamotage, l’ “exit strategy”; “va bene, Priebke era un delinquente, ma”. Questo “ma”, incipit ed aperitivo del disastro etico e della sconcezza intellettuale, è stato incapsulato in una tragicomica ridda di esempi da schierare davanti alla riprovazione verso l’ex SS tedesco. Le atomiche sul Giappone, il dramma delle Foibe, per arrivare, ebbene si, al caso della concessione della semilibertà ad Anna Maria Franzoni. Episodi come questo rivelano e palesano la fondatezza e la credibilità delle tesi di sociologi quali Gustave Le Bon o Moisei Ostrogorski, che individuano un rapporto fideistico tra l’uomo ed il credo politico simile a quello nei confronti del divino e della religione. Si è consci della barbarie di Priebke, ma si guarda oltre, cercando di attutire il proprio senso di colpa e la rozzezza di certe posizioni mediante strategie di marketing spicciole e balbuzienti, perché la tenzone con l’odiato “avversario” viene prima di ogni alto valore o principio.