Certe cose, storie, scene, a volte si ripetono.
Ho visto Erika, e ho visto Flavio.
Li ho visti uscire di casa, a poche ore di distanza l’uno dall’altra, con il profumo di metà novembre nei polmoni.
Li ho visti coetanei a nemmeno duecento metri di distanza, nei palazzoni di via Cremona, crescere senza incontrarsi mai. Prendere lo stesso autobus per la scuola, Erika al liceo artistico e lui perito all’Armellini. Ho visto Flavio, scendere molto prima.
Ho visto Erika uscire col sorriso intenso delle occasioni, zaino vuoto e cuore allegro dei ventitré anni, camminare verso Piazzale Aldo Moro. Nello stomaco lo sfarfallio di un’eccitazione giovane.
Ho visto Flavio muoversi nella città ancora buia. Incontrarsi con i colleghi per un caffè al bar, scaldiamoci, e ricoprirsi di dura plastica. La voglia di tornarsene a letto.
Ho visto Erika assieme ad altri studenti, srotolare striscioni sotto gli occhi pazienti della Minerva. Ho visto il suo coraggio e la fiducia aumentare a ogni nuovo arrivato. Voglia, necessità, di cambiare, nelle loro voci; forse un piccolo sedimento di rabbia. Nessun odio. L’ho vista sfilare colorata fino alla piazza, cantare a squarciagola slogan e canzoni scandite dagli altoparlanti. Forse è il giorno giusto.
Ho visto Flavio stringersi in formazione perché deve, perché è il dovere, per l’asilo di Francesco da pagare. Non sorride, perché, se potesse, preferirebbe accompagnare Lucilla in ufficio e salutarla con un bacio. L’ho visto scuotersi allo sfrecciare di una sagoma blu a pochi passi da lui. Che poi, forse, qualche ragione ce l’hanno anche loro, che qualcosa da dire e da cambiare ce l’avrebbe anche lui. Anni fa, una strada diversa.
Ho visto Erika spaventarsi al primo boato, dietro di lei. Accorgersi che le canzoni tacciono, sostituite da un berciare cupo. L’ho vista confusa quando al gruppo si sono aggiunti caschi e sciarpe alzate, perdersi nel marasma e sentirsi sbattuta fra le onde di un fiume di urla che non le permette di allontanarsi. Scivola sul selciato, alza gli occhi e il fumo inizia a puzzare. Aspettava la musica, ora, i sassi.
Ho visto Flavio non capire, il blu della visiera non rende meno minacciosi i volti che si avvicinano. Che poi, i volti…le maschere. Il suo scudo alzarsi quando ferro e pietre volano sulle teste, puntare i piedi e resistere alle folate che si abbattono sulla pattuglia. L’ho visto inorridire, quando la voce disperata di un collega gracida e chiede aiuto alla radiotrasmittente. Chiudere gli occhi, pregare.
Ho visto Erika, e ho visto Flavio. Ancora una volta pochi metri a separarli. Li ho visti quando l’eccitazione, il dovere, la rabbia, spariscono, e il sangue si ferma. Avvolti dalla nuvola nera, sirene, c’è solamente paura, che scende gelida lungo la schiena e blocca le gambe.
Perché, per un lungo istante, quella fermata di via Cremona è sembrata troppo distante per poterci ritornare.
Matteo Dani