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Ernest Borgnine, “con quella faccia un po’ così…”

Creato il 09 luglio 2012 da Af68 @AntonioFalcone1

Ernest Borgnine, “con quella faccia un po’ così…”
E’ morto a Los Angeles, all’età di 95 anni, Ernest Borgnine (foto), uno degli ultimi grandi caratteristi della “vecchia Hollywood”, estremamente duttile e poliedrico, capace d’esprimersi anche in ruoli da protagonista, vedi l’ormai dimenticato Marty, vita di un timido, Oscar come miglior attore nel 1956, nonostante le caratteristiche fisiche distanti dai classici canoni divistici che, comunque, hanno contribuito negli anni a caratterizzare ulteriormente le sue interpretazioni, sempre estremamente vere ed incisive, al di fuori dei soliti convenzionali registri.

Nato da genitori italiani come Ermes Effron Borgnino ad Hamden, il 24 gennaio 1917, Borgnine, dopo aver prestato servizio in Marina durante la II Guerra Mondiale, si avvia alla carriera d’attore spinto dalla madre, seguendo i corsi della Randall School of Drama di Hartford, iniziando a calcare le scene unendosi alla compagnia del Barther Theatre, Virginia, debuttando nel ’49, a Brodway, con Harvey.

Nel 1951 si trasferisce a Los Angeles e qui prende avvio la sua carriera cinematografica, sempre in alternanza tra produzioni minori come il suo primo film, China Corsair, ’51, di Ray Nazarro, e pellicole dirette da registi del calibro di Fred Zinnermann, quali Da qui all’eternità, dove resterà indimenticabile la sua interpretazione del sadico e ghignante sergente James “Fatso” Judson.

Senza ridurre la sua interessante carriera ad un freddo elenco di tanti, numerosi, lavori, anche televisivi, preferisco menzionare gli autori che con le loro opere hanno saputo valorizzarne al meglio l’innato mix tra esuberanza (difficile dimenticare la sua risata) e prorompente spontaneità recitativa: Robert Aldrich (Vera Cruz, ’54, Quella sporca dozzina, ’67, L’imperatore del Nord, ’73), Nicholas Ray (Johnny Guitar, ’54, All’ombra del patibolo, ’56) e Sam Peckinpah (Il mucchio selvaggio, ’69, Convoy-Trincea d’asfalto, ’78).

Personalmente, oltre al citato ruolo di Marty, mi piace ricordarlo nello splendido cammeo in Red, di Robert Schwentke, 2010, rinchiuso in un archivio bunker, una delle sue ultime interpretazioni, malinconicamente soffusa d’ironia ed autoironia, entrambe proprie di un grande attore che probabilmente non si riteneva tale, così naturalmente lontano, anche nei ruoli minori, da qualsivoglia istrionismo o gigionismo d’ordinanza.


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