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Ernesto Gastaldi: una lunga corsa nel cinema di genere

Creato il 30 gennaio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Ernesto Gastaldi e Giovanni Berardi

Possiamo considerarlo, senza enfasi alcuna, lo sceneggiatore principe del cinema di genere italiano. Anzi Ernesto Gastaldi è la penna eccellente del film di genere. Scrittore di oltre centoventi copioni per il cinema, di altre trenta sceneggiature realizzate come “negro” (per maestri quali Rodolfo Sonego e Ugo Guerra), cioè senza che la sua firma sia riconosciuta, un atteggiamento molto ricorrente nel cinema di quei tempi, e perdendo anche buona parte dei guadagni; una ventina, invece, le sceneggiature pronte ma rimaste nel cassetto. “Vuoi sapere come è venuta meno la mia negritudine e come mi sono trovato d’improvviso ufficializzato nel mondo del cinema? Ugo Guerra, lo sceneggiatore con il quale lavoravo maggiormente, era una persona spiritosissima. Avevo lavorato per lui, in quei giorni, al secondo tempo di Sodoma e Gomorra per il produttore Lombardo. Un giorno il produttore chiama Guerra, aveva letto il suo copione e voleva dare una risposta. Quando Ugo Guerra si trovò al suo cospetto gli mostrò un foglio bianco che Lombardo teneva adagiato sulla scrivania. “Gira un po’ il foglio” gli disse. Guerra girò e c’era scritto: “Stronzo. Tu hai scritto il secondo tempo, ma chi è quell’imbecille che ha scritto il primo?” E allora Guerra, spiritosissimo: “Il primo l’ho scritto io, mò ti presento chi ha scritto il secondo”.

La filmografia di Ernesto Gastaldi è sterminata, non c’è campo letterario adattato al cinema, situazione comica, avventurosa, fantascientifica, storica “orrori fica”, poliziesca, western, con cui Gastaldi non si sia cimentato, sempre con grande passione e grande umiltà. Negli anni del boom economico per l’Italia, e nel tempo pieno della strategia della tensione, tra la fine degli anni cinquanta e per tutto il decennio degli anni settanta, tra la morte del neorealismo cinematografico e la consacrazione ed il declino della commedia all’italiana, decisamente nel momento in cui il potere degli autori (Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini), era valorizzato anche dal grande pubblico, proliferava una cinematografia parallela, proprio folta, semplicemente geniale, che moltiplicava all’infinito molti suoi titoli e molti suoi autori, e Gastaldi, tra questi, era uno dei più continui; qualche titolo tra i suoi film, proprio alla rinfusa, ed a cavallo tra gli anni deputati, alcuni firmati, per le necessità commerciali dell’epoca, anche con il suo pseudonimo esterofilo di Julien Berry: L’amante del vampiro, Anonima cocottes, I mongoli, Marte Dio della guerra, Le avventure di Mary Read, Duello nella Sila, La frusta e il corpo, La cripta e l’incubo, Che femmine e che dollari, Divorzio alla siciliana, Pesci d’oro e bikini d’argento, Perseo l’invincibile, Ursus nella terra di fuoco, Golia e il cavaliere mascherato, Buffalo Bill, l’eroe del Far West, Le spie uccidono a Beirut, La decima vittima, Sette contro tutti, Furia a Marrakeck, Duello nel mondo, La lama nel corpo, A 077 sfida ai Killers, Delitto quasi perfetto, Flashman, Arizona colt, Troppo per vivere, poco per morire, La battaglia di El Alamein, I vigliacchi non pregano, Il dolce corpo di Deborah, Sono Sartana il vostro becchino, Così dolce…così perversa, Foto proibite di una signora per bene, La morte cammina con i tacchi alti, Morte sospetta di una minorenne, I corpi presentano tracce di violenza carnale, Lo strano vizio della signora Wardh, Arizona si scatenò e li fece fuori tutti, La coda dello scorpione, Perchè quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?, Tutti i colori del buio, L’uomo senza memoria, Si può fare, amigo, Anna, quel particolare piacere, La città gioca d’azzardo, Fango Bollente, La pupa del gangster, Il cinico, l’infame, il violento, Il ficcanaso, Assassinio al cimitero etrusco, 2019, dopo la caduta di New York.

È un periodo del cinema italiano, quello, che andrebbe tenuto sempre ben presente. Negli anni settanta, possiamo affermarlo liberamente, l’eversione di destra, lo stragismo, i servizi segreti deviati ed i golpe all’italiana, la corruzione – che era proprio la vita amministrativa, politica e metropolitana del nostro paese – venivano affrontati quasi unicamente dalla cinematografia popolare di genere, soprattutto dai cosiddetti poliziotteschi, tra l’altro considerati, chissà perchè ed a lungo, dei film fascisti. E Gastaldi, anche in questo senso, è stato un autore sempre in prima linea: i suoi Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973), diretto da Sergio Martino, Milano odia: la polizia non può sparare (1974), diretto da Umberto Lenzi, La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori (1975), diretto da  Fernando Di Leo sono esempi precisi e perenni di questi tentativi popolari di raccontare l’Italia contemporanea.

Dice Ernesto Gastaldi: “Il cinema di genere è stato il vero ed unico supporto del cinema italiano, tanto è vero che quando è sciamato è proprio crollata l’industria del cinema”. Alcuni anni fa, ricorda Gastaldi, esattamente due giorni dopo la morte del regista Antonio Margheriti (il prolifico e geniale Anthony M.Dawson che, con questo pseudonimo esterofilo, firmava le sue opere di genere), ad un convegno sul cinema organizzato dalla rivista Gulliver, presenti tra gli altri molti autori – Francesco Maselli ad esempio, ma ce ne erano molti altri del cinema d’impegno – nessuno di questi, ebbene, ha speso una parola per ricordare il grande regista, non riconoscendo assolutamente che molte loro produzioni importanti si sono potute realizzare grazie ai grandi incassi delle opere di professionisti come Antonio Margheriti. “Come non ricordare questo, come non essere convinti di questo?” si chiede Gastaldi. Noi precisiamo: non avendo questa umiltà, per il cinema italiano, è stato inevitabile finire nel sentiero del declino, dove effettivamente sta rimanendo da qualche decennio. Afferma Gastaldi: “Solo nella quantità di opere prodotte è più facile riscontrare il capolavoro: io dico che se fai trecento film l’anno, centocinquanta saranno mediocri, altri cento saranno buoni, trentacinque discreti, ma cinque saranno capolavori. Ma se riesci a farne solo quaranta all’anno…”.

Ernesto Gastaldi è stato anche un apprezzato regista. A questo proposito c’è una storia da raccontare e riguarda la vita sentimentale con la moglie, Maria Chianetta, un tempo attrice con il nome di Mara Maryl. Entrambi studenti del glorioso Centro sperimentale di Cinematografia di Roma condivisero pienamente gli anni di studio e, tra incontri, discussioni, esperienze, si innamorarono e diventarono marito e moglie. Da quel momento, la loro professione e la loro unione sono diventate un patto di ferro, in fondo mantenuto fedelmente sin’ ora: “Io, Ernesto, sarò il regista delle nostre storie, tu l’attrice protagonista”. Nascono in questo contesto film quali Libido (1965), considerato uno dei primi veri gialli italiani, e che segna il debutto nel cinema dell’attore Giancarlo Giannini, Cin…cin…cianuro (1968), La lunga spiaggia fredda (1971), Notturno con grida (1981), La fine dell’eternità (1984), L’uovo del cuculo (1992). Ma, come confessa lo stesso Gastaldi con il senno del poi (ma nelle sue parole non c’è pentimento alcuno per questa scelta), questo atto di fedeltà verso la moglie gli è costato un po’ la carriera, senz’altro gliel’ha dimezzata nella sua funzione di regista. Perchè, come lo stesso Gastaldi ammette, con quella fedeltà al patto, stipulato tra giovanissimi, ha dovuto rinunciare a parecchi film come regista poiché la produzione non prevedeva la presenza della moglie. Così, di rifiuto in rifiuto, si consolidava invece, e bene, la sua carriera di sceneggiatore.

Di grande vitalità l’intesa con il regista Tonino Valerii, tra l’altro compagno ed amico di corso al Centro sperimentale, con il quale firmerà i suoi western migliori: I giorni dell’ira, appunto, considerato uno dei migliori del genere, anche a livello internazionale, Il prezzo del potere, Una ragione per vivere ed una per morire, Il mio nome è Nessuno, ma anche il poliziesco Sicilian connection e l’avventuroso Sahara cross. Con Valerii, Gastaldi è stato protagonista di un episodio furbo e divertente insieme, e che spiega fedelmente la grande vitalità, in quegli anni, dell’industria del cinema. Racconta Gastaldi: “Un soggetto mio e di Valerii, in fondo poche pagine di trattamento, era nelle mani di un produttore della Cinegay, Gay tra l’altro era il cognome di questo produttore. Ci convoca in ufficio, si dichiara fortemente entusiasta del nostro trattamento, tanto da preferirlo ad un film che stava entrando già in lavorazione. Gay dice apertamente che se avevamo la sceneggiatura pronta era disposto ad iniziare subito questo film e non l’altro. Ed io, immediatamente, anche se non era assolutamente vero, risposi “ma noi la sceneggiatura pronta l’abbiamo”. E Valerii che mi guardava già piuttosto preoccupato. Per farla breve abbiamo scritto in una sola notte, costringendo mia moglie a portarci caffè continuamente, l’intera sceneggiatura de I lunghi capelli della morte, un thriller gotico diretto proprio da Margheriti. Ecco, andava anche così il cinema in quegli anni”.

Quando è morto Sergio Leone, il 30 aprile del 1999, è morto il cinema italiano. Così ama sintetizzare Gastaldi, che ha conosciuto Leone proprio a proposito de Il mio nome è Nessuno. “Sergio Leone dice Gastaldi “era l’ultimo produttore regista in grado di fare grossi film chiamando con una telefonata i più grandi attori americani”. Gastaldi era stato chiamato da Leone a sostituire una serie di sceneggiatori che avevano provato a scrivere in chiave western l’Odissea di Omero, un ambizioso progetto che Leone voleva realizzare. Ma il tentativo fallì, non si trovarono le coordinate adatte per mettere in scena tale ambizione ed il progetto tramontò. Ma per Gastaldi iniziava una collaborazione storica, quasi un punto di arrivo per la sua già notevole carriera: lavorare con Sergio Leone. L’incontro con il mitico regista di Per un pugno di dollari -ricorda Gastaldi – è stato naturalmente emozionante. Dice Gastaldi: “Sergio mi raccontò l’inizio di quello che doveva essere il film: tre uomini a cavallo, un tramonto, una barberia. Tlic-tloc, tlic-tloc, tlic-tloc, i tre cavalli che si avvicinano… E poi ancora, minuziosamente, dettagli ed esempi figurati. Ad un certo punto della sapiente spiegazione Sergio si interrompe, mima uno schermo e grida: “titolo: Il mio nome è Nessuno”. A questo punto era chiaro che dovevo andare per la mia strada e tornare dopo una settimana con il trattamento sviluppato nei più stretti particolari”. Il film diretto da Valerii si realizza così, condito da fruttuose, creative ma faticosissime ed impegnative riunioni quotidiane con Leone, e la sceneggiatura fiume nasce, proprio esclusivamente, dalla sola penna vivace di Ernesto Gastaldi. E la regia, dopo gli abbandoni di Giuliano Carnimeo e Michele Lupo, affidata quindi a Valerii, nasce anche da un consiglio dello sceneggiatore. Ricorda Gastaldi: “Era tutto pronto, si doveva partire a giorni con le riprese, ma mancava ancora il regista. A questo punto propongo a Leone il nome del mio amicone e compagno di studi Tonino Valerii. E’ stato anche un suo aiuto ed è bravo, poi ha esperienza nel genere ed ha già girato dei western bellissimi. Ricordo Leone accarezzarsi la meravigliosa barba, che cominciava a dare sul bianco, e dire: si può provare…” Era maturata l’alba del film Il mio nome è Nessuno, prima grande produzione miliardaria di Sergio Leone. Dopo il fallimento della sua idea primaria, quella dell’Odissea western, a cui teneva veramente, l’intento di Leone con questa pellicola era diventato un po’ il gioco dell’inquinamento, perché era vera in fondo la leggenda che odiasse i film Lo chiamavanoTrinità e Continuavano a chiamarlo Trinità di Enzo Barboni (E.B.Clucher), usciti nelle sale il primo nel 1970, ed il secondo nel 1971, comunque dopo i grandi successi western di Leone. La colpa dei film di Barboni, all’occhio ed al cuore di Leone, era un po’ quella di avere buttato in burla tutta l’ epopea western affrontata dai suoi film. E Leone questo non lo aveva superato. E poi c’era anche l’affronto dei grandi incassi dei Trinità, che avevano anche superato i già grossissimi risultati al botteghino dei suoi film. E l’occasione con Nessuno si era presentata proprio doppia, perché qui insisteva anche un preciso richiamo, la presenza dell’attore, protagonista dei Trinità, Terence Hill. E Il mio nome è Nessuno che Valerii ha molto ben congegnato anche ironicamente, si è prestato benissimo per fargli gustare un po’ il gioco della vendetta. Ed allora Leone ha fatto inserire qua è là alcune scene scherzose, peraltro girate da lui medesimo, come la scena del “girondinondinondello”, una sorta di tocco di farsa, quasi di stupidaggine, proprio per meglio evidenziare un Terence Hill piuttosto Trinità, ovvero rendere esplicita l’idea di non trovarsi propriamente dentro un film del regista Sergio Leone, ma solo dentro un film del produttore Sergio Leone. Ma qui restiamo solo un po’ nel campo delle ipotesi postume, come in fondo pensa anche lo stesso Gastaldi.

La collaborazione di Gastaldi con il produttore Leone, a questo punto, andrà ancora avanti per anni: nel 1975 insieme daranno vita al non facile film di Damiano Damiani Un genio, due compari, un pollo, “un film che in fondo Damiani ha scambiato per un altro, perché avendo un soggetto suo che voleva assolutamente fare, si era un po’ confuso” sintetizza sorridendo Gastaldi, e nel 1977 ci sarà la revisione della sceneggiatura de Il gatto, scritta dal suo vecchio maestro Rodolfo Sonego, per la regia di Luigi Comencini, e scatteranno le prime di idee di un trattamento che diventerà un altro difficilissimo film, C’era una volta in America, che proprio Sergio Leone, allontanandosi dalla produzione, dirigerà infine nel 1984. E sarà il suo ultimo grandissimo film. Ma sarà anche il film che decreterà, ma questo relativamente, la fine della collaborazione di Gastaldi con il maestro: “Era nato il mio terzo figlio solo il giorno prima, l’idea improvvisa ed imperativa di Leone di andare in America e di restarci per qualche tempo non mi rallegrava per niente, anzi mi rendeva molto triste. Un mio trattamento per il film comunque era stato già completato. Continua Gastaldi: “Leone mi dà un romanzo da leggere, è una bella storia sull’America del proibizionismo scritta da un ex killer. Si tratta di Harry Gray ed il suo libro si chiama A mano armata. Quando abbiamo incontrato Harry Grey, lui candidamente, quasi per presentarsi, ci dice: ho ammazzato ventinove persone a rasoiate, dietro un compenso di venticinque mila dollari ad omicidio. Voi pensate che sono un delinquente?”. Noi pensiamo, a questo punto, che solo la genialità di un uomo e di un artista come Leone, poteva far si che un autore, un gangsters come Harry Grey, poteva aprirsi, di fronte a loro, a tal punto da rivolgere quella domanda. “Ma non sono andato in America, non ho seguito Leone sulla strada di quella sceneggiatura ed il mio trattamento, che era molto fedele al libro, è stato buttato alle ortiche.

Comunque il suo film è bellissimo lo stesso” conclude Gastaldi, e ricorda: “ Leone mi aveva richiamato dopo la conclusione di C’era una volta in America. Mi dovevo occupare di un nuovo western, Un posto che solo Mary conosce, per consentire il debutto di un giovane regista. Quello che avevo in mente era di fare una specie de Il sorpasso in chiave western. In quell’occasione Sergio mi aveva accennato anche ad un nuovo progetto cinematografico che voleva dirigere personalmente. Si chiamava Leningrado, sullo sfondo c’era la battaglia della città russa contro i tedeschi. Ma per affrontare questo argomento non aveva maturato ancora alcuna necessaria idea. Eravamo a cena quando mi ha parlato di questo progetto. Dopo mi ha fatto l’occhietto e mi ha elargito un sorriso: era il suo modo cifrato di fare capire che ancora non aveva deciso a chi farlo scrivere”.  Ma solo qualche giorno dopo Tonino Valerii chiama Gastaldi al telefono: “È morto Sergio” dice. E Gastaldi, nel solenne silenzio dell’attimo, ha pensato: “È davvero morto il cinema italiano”.

Giovanni Berardi


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