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Ernst alla Beyeler

Creato il 26 maggio 2013 da Roberto Milani
Ernst alla Beyeler
Max Ernst Fondazione Beyeler Basilea 26 maggio - 8 settembre 2013

La Fondation Beyeler, in coproduzione con l’Albertina di Vienna, presenta oltre 160 opere di quell’artista epocale che fu Max Ernst (1891–1976), dedicandogli la prima ampia retrospettiva realizzata in Svizzera dalla sua morte e rispettivamente in area germanofona dal 1999.
Sebbene le mostre a Vienna e a Basilea gettino entrambe uno sguardo contemporaneo sulla produzione ernstiana e mettano in campo un analogo numero consistente di capolavori, esse si differenziano tuttavia per il loro impatto visivo, per il loro allestimento e non da ultimo per il fatto che 21 opere sono esposte solo alla Fondation Beyeler. Delle quali molte, come p.es. L’angelo del focoloare (Il trionfo del surrealismo), La vestizione della sposa, La Vergine sculaccia il bambino Gesù (…), Oedipus Rex e altre sono fra le più celebri dell’artista.

Ernst Beyeler era affascinato da Max Ernst, tanto che già nel 1953 l’artista eseguì per il mercante d’arte basilese la cartella litografica intitolata Das Schnabelpaar. La Collezione Beyeler conta sette opere di Max Ernst: quattro dipinti e tre sculture. In ordine cronologico la prima è Fiori di neve, risalente agli anni 1920, e l’ultima Nascita di una galassia, del 1969.

Max Ernst appartiene al novero degli artisti più versatili della modernità. Dopo gli esordi a Colonia come dadaista ribelle, nel 1922 si trasferì a Parigi, dove in breve divenne uno dei maggiori animatori del surrealismo. Durante la seconda guerra mondiale fu internato due volte come “straniero ostile” ma poi rilasciato su intercessione dell’amico poeta Paul Éluard. Nel 1941 fuggì in esilio negli Stati Uniti. Qui trovò nuovi stimoli e allo stesso tempo diede impulsi innovativi alla giovane generazione di artisti americani. Un decennio più tardi fece ritorno in un’Europa devastata dalla guerra, che sembrava aver dimenticato il Max Ernst un tempo alla ribalta, prima di riscoprirlo come uno degli artisti più poliedrici del Novecento. Nel 1958 Ernst, che nel 1948 aveva rinunciato alla nazionalità tedesca in favore di quella statunitense, ottenne infine la cittadinanza francese.

Max Ernst è considerato un artista epocale non solo in relazione alla qualità e portata della sua opera ma anche, oggettivamente, per la sua attività produttiva lungo un arco temporale di circa sessant’anni, dal 1915 al 1975. Egli si trovò dunque a lavorare in un periodo segnato da enormi rivolgimenti artistici, sociali, politici e tecnologici, di cui seppe farsi interprete con opere di forte riflessione sul secolo breve.

Il gusto della sperimentazione nell’uso delle tecniche più disparate fece di Max Ernst un pioniere dell’espressione multimediale. In apparenza con scioltezza, egli condensò nella sua opera i temi, gli stili e le tecniche di volta in volta importanti per la relativa generazione. La sua instancabile ricerca di sempre nuovi linguaggi, interrogativi e soggetti è emblematica per l’uomo moderno. Max Ernst ci appare come l’artista che “non volle mai trovarsi”.

Viandante tra mondi e culture, Max Ernst, con i suoi esordi nel movimento dada, la sua posizione di primo piano nel gruppo surrealista e la sua gestualità anticipatrice dell’action painting, unì Parigi a Colonia e a New York e poi di nuovo alla Francia. In anni politicamente turbolenti egli conservò il suo sguardo critico e creativo, ma si rifugiò in un paese, gli Stati Uniti, che conosceva appena e che nondimeno affrontò con curiosità, riportandone vivissime suggestioni per i suoi lavori del periodo tardo. Attraverso mostre a New York, progetti in Arizona o nella Touraine, partecipazioni alla Biennale di Venezia o alla documenta di Kassel, Max Ernst già nel primo Novecento era identificabile con l’immagine del “nomade culturale e artistico”, entrata nel linguaggio comune soltanto in tempi più recenti.

Anche nella sfera privata Max Ernst evidentemente si destreggiava bene tra opposti poli, data la disinvoltura con cui passò dallo stato di profugo di guerra alla vita oltremodo mondana a fianco della sua mecenate nonché moglie per breve tempo Peggy Guggenheim, vita che in seguito di nuovo bruscamente respinse per condurre un’esistenza incantata nel deserto dell’Arizona assieme all’artista Dorothea Tanning. Dalla prima moglie e madre di suo figlio Jimmy, Luise Straus (morta ad Auschwitz), a Gala Eluard, Leonora Carrington, Peggy Guggenheim e Dorothea Tanning, Max Ernst si accompagnò sempre a figure di donna e artiste di grande spessore.

In quanto intellettuale a proprio agio nell’arte come nella letteratura, Ernst nutriva anche una spiccata curiosità per la tecnica e la scienza, soprattutto per le scienze naturali e la psicoanalisi, disciplina questa che era di primario interesse per il surrealismo.

Max Ernst sviluppò e portò avanti una formidabile e sorprendente molteplicità di tecniche, come evidenzia la panoramica seguente:

Collage

Già intorno al 1919 Max Ernst cominciò a lavorare con il collage, tecnica che gli permetteva di creare o simulare nuove realtà visive. Egli componeva i suoi collage con illustrazioni tratte da diversi romanzi, cataloghi didattici e opuscoli di moda dell’Ottocento. I frammenti di carta provengono da xilografie che ritagliava con il bisturi per ottenere bordi ben netti e senza sfrangiature.
Nel 1929/30 circa Ernst realizzò i suoi romanzi-collage più celebri, La femme 100 têtes (La donna cento teste; il titolo francese suona anche come “La femme sans tête”, la donna senza testa) e Rêve d'une petite fille qui voulut entrer au Carmel (Sogno di una ragazzina che volle entrare al Carmelo), che appartengono alle opere più affascinanti ed enigmatiche del surrealismo.
Frottage

Intorno al 1925 Max Ernst iniziò la sua serie dell’Histoire Naturelle (Storia naturale), in cui per la prima volta sperimentò la tecnica del frottage (dal francese “frotter”, strofinare) come procedimento semiautomatico. A materiali reperiti in natura, come foglie o legno, egli sovrapponeva un foglio di carta che sfregava con una matita, elaborando quindi le strutture che affioravano fino a trasformarle in immagini fantastiche. Nei suoi frottage l’artista infonde vita agli oggetti inanimati e conferisce loro un significato diverso, che talora sfugge alla logica comune.
Ernst sviluppò il frottage durante un soggiorno in Bretagna. Nel suo saggio Au-delà de la peinture egli descrive una sorta di ossessione a ricalcare per sfregamento su un foglio le scabrosità del pavimento di legno e di altri oggetti nella camera della sua pensione.
Grattage

Il grattage (dal francese “gratter”, raschiare) è una tecnica artistica che Max Ernst sviluppò intorno al 1927 per applicare il principio del frottage alla pittura. Dapprima stendeva sulla tela vari strati di colore. Sotto il supporto così preparato poneva oggetti quali reti metalliche, assi di legno o corde, il cui rilievo si delineava attraverso la tela. Per trasferire queste strutture al quadro infine raschiava gli strati di colore più superficiali. In una fase successiva i motivi emersi diventavano il punto di partenza per opere più elaborate quali foreste, fiori di conchiglie, uccelli o città pietrificate.
Decalcomania

La decalcomania è una tecnica di riproduzione per contatto, che consiste nel trasferire a pressione sulla tela il colore ancora umido applicato su lastre di vetro o su carta. Il distacco della matrice lascia sul supporto sottili trame cromatiche, bolle e marezzature, che poi l’artista elabora ulteriormente.
Di questa tecnica artistica, già conosciuta nel Settecento, si avvalsero anche altri surrealisti. Max Ernst riprese il procedimento verso la fine degli anni 1930, ricavandone rappresentazioni di misteriosi paesaggi popolati da volti, figure e animali inquietanti che si nascondono nel folto della natura.
Oscillazione

Intorno al 1942, nell’esilio americano, Max Ernst mise a punto la tecnica dell’oscillazione. Egli lasciava gocciolare il colore da un contenitore, più precisamente un barattolo forato, sospeso a una lunga cordicella che faceva oscillare con ampi movimenti sopra la tela. Questo procedimento, in larga misura incontrollabile e dunque anch’esso semiautomatico, dava vita a composizioni reticolari, a cerchi, linee e punti che richiamano le orbite planetarie.
L’oscillazione fu dunque una tecnica pittorica innovativa, che se in un primo momento ampliò il ventaglio di pratiche artistiche del surrealismo finì per anticipare il drip-painting Jackson Pollock.
La mostra presenta in ordine cronologico tutte le fasi creative e i gruppi tematici importanti. Capricorno, la

scultura più significativa, apre l'esposizione.
Max Ernst, nato il 2 aprile 1891 a Brühl (Germania), si accosta per la prima volta alla pittura tramite il padre. Riceve un'educazione borghese e conservatrice, molto severa, alla quale presto si ribella. Dal 1910 studia storia dell'arte, ma anche psicologia, lingue romanze e filosofia. Dapprima influenzato dall'espressionismo e dal futurismo, entra rapidamente in contatto con altri artisti e movimenti.

L'opera giovanile Città con animali testimonia questa singolare commistione di stili diversi ed evidenzia tratti

sia cubisti sia futuristi. L'incontro con Hans Arp (pure rappresentato nella Collezione Beyeler) avviene in un momento di grandi contraddizioni. Nasce il dada, gli anni del primo dopoguerra sono un periodo di rivolgimenti, di proteste e di sperimentazione.
Le esperienze dadaiste avvicinano Max Ernst ai surrealisti. Da artista tedesco Ernst diviene un esponente di spicco del movimento surrealista parigino. Qui i suoi quadri assumono un carattere misterioso, giacché vi confluiscono l'inconscio e il sogno che la psicoanalisi rivela e il surrealismo esplora. Max Ernst resta un innovatore, e dalla metà degli anni 1920 sperimenta il frottage. Ecco che appaiono creature ibride tra specie diverse, a manifestare l'interesse dell'artista per le scienze naturali.

Alla prima parola chiara è uno di questi quadri misteriosi, addirittura monumentale, pensato per la decorazione della casa che Max Ernst condivide con Paul Éluard e la moglie di questi, Gala (che più tardi sarà la musa di Dalí). Il dipinto parietale, nascosto sotto uno strato di pittura, verrà riportato alla luce soltanto negli anni 1960.

La Vergine sculaccia il bambino Gesù (…) è un altro dipinto spettacolare, un’opera scandalo con elementi blasfemi, che decostruisce il tradizionale motivo sacro della maternità e proclama radicalmente la liberazione di Ernst dal suo retroterra borghese e moralista.

Un'intera sala espositiva è dedicata al ciclo delle Foreste, che vede una selezione altissima di opere. Anche alle Orde dei tardi anni Venti è attribuito un ruolo importante: le figure metamorfiche esplicitano la tematica della trasformazione. Procedendo, con i Fiori e le Città (che sintetizzano la contrapposizione “natura” e “cultura”) si toccano altri importanti nuclei tematici.

La sala 11 raccoglie una nutrita serie di opere chiave, tra cui le immagini di giungla della seconda metà degli anni Trenta con al centro La natura all’aurora (Canto serale), dal tono oscuro e angosciante. Qui confluiscono diverse tradizioni, dalla lezione di Henri Rousseau su su fino al romanticismo di un Caspar David Friedrich. Ne La vestizione della sposa si coglie sia un riferimento all'arte rinascimentale sia il contesto del gioco tra figure femminili contrastanti. La mutazione della donna in animale e dell'animale in donna è un motivo erotico, sottolineato nel dipinto da molti dettagli. L’angelo del focolare (Il trionfo del surrealismo) invece prende spunto dalla guerra civile spagnola dei tardi anni Trenta, un tema con cui si sono confrontati numerosi artisti e intellettuali. Con la dimensione abissale, variopinta e simile a una maschera della figura rappresentata, che pare piombare addosso all'osservatore come un vortice inarrestabile di aggressione e scherno, Max Ernst preconizza la catastrofe politica che investirà l'Europa.

La produzione tarda evidenzia degli iati tematici: da un lato l’osservazione poetico-sensuale (resa con il procedimento della ridipintura) dell’opera raffinata e tecnicamente innovativa Il giardino di Francia; dall'altro la siderale Nascita di una galassia, nella quale aria, acqua, terra e fuoco sono assorbiti nella sfera celeste.

Spirito libero dai molti aspetti – ironico, eccentrico e ribelle –, Max Ernst ancora oggi è un artista al contempo accessibile ed enigmatico. I suoi lavori ci attraggono, evocano profondità e segreti insondabili e danno luogo a riflessioni. Come l’argento vivo che si addensa in conformazioni sempre intriganti e nuove, inafferrabile, egli rimane un maestro straordinario anche a quasi quarant'anni dalla scomparsa, esemplare nella sua autonomia artistica, il cui anelito libertario e coraggio al cambiamento nell'arte e nella vita preservano la sua opera dall’opportunismo stilistico e dal conformismo.

La retrospettiva è stata concepita dai curatori ospiti Werner Spies e Julia Drost e realizzata in collaborazione con l’Albertina di Vienna e la sua curatrice Gisela Fischer. Raphaël Bouvier ne ha curato la realizzazione presso la Fondation Beyeler.

Fondation Beyeler, Beyeler Museum AG

Baselstrasse 77, CH-4125 Riehen, Switzerland
Open every day, 10:00 a.m. – 6:00 p.m., Wednesdays, 10:00 a.m. – 8:00 p.m.
The museum is open on Sundays and on all public holidays.
Admission:
Adults CHF 25
Groups of at least 20 people and disabled visitors with ID CHF 20
Students, under 30 CHF 12
Family Pass (2 Adults and at least 1 child under 19) CHF 50
Children, aged between 11 to 19 CHF 6
Children under age 11, Art Club Members free admission 

http://www.fondationbeyeler.ch/en/Home 

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