Molti di voi conoscono già questo racconto. Nel frattempo altri amici si sono aggiunti e mi sento pertanto di condividere, anche quest’anno, una testimonianza di fede nell’ideale della libertà, di impegno per riconquistarla e concretizzarla.
La mia generazione ha avuto la fortuna, e alcuni come me l’hanno tuttora, di avere conosciuto la storia partigiana dalla voce diretta dei protagonisti e di averne assimilato lo spirito profondo.
Oggi zio Guido, il partigiano della mia famiglia, è alle soglie dei novant’anni, ma non ha perso la lucidità dell’analisi e la capacità di rendere vivo il ricordo. Ogni volta che parlo con lui, mi convinco sempre di più che noi italiani non possiamo non essere antifascisti, e ciò indipendentemente dall’orientamento politico attuale. Perché, per me, l’antifascismo è uno stato mentale, culturale, non ha nulla a che fare con l’adesione o la simpatia verso questo o quel partito.
La Resistenza ha creato una condizione di libertà di cui oggi sono in grado di beneficiare tutti, anche chi la irride, non ne riconosce l’enorme valore, la giudica con faziosità accusando altri di altrettanta parzialità, inconsapevoli, forse, che la loro critica è possibile proprio grazie a questo movimento.
La nostra Repubblica non sta vivendo uno dei suoi momenti migliori; non è il primo e non sarà l’ultimo. I contrasti, anche accesi, si esprimono per l’appunto perché siamo liberi.
Vorrei fare mie le parole del grande Sandro Pertini pronunciate nel Parlamento spagnolo a Madrid il 28 maggio 1980:
“ove non esiste un regime democratico questi confronti e questi contrasti non si hanno. Le democrazie a menti superficiali possono apparire disordinate; le dittature invece appaiono ordinate; nessuna protesta, nessun clamore da esse si leva: ma è l’ordine delle galere, il silenzio dei cimiteri.
No, alla più perfetta delle dittature io preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie.”
È un grido di duplice liberazione: dal nemico nazi-fascista e dalla condizione d’isolamento in cui l’adesione, comunque convinta, al movimento partigiano lo fa vivere.
Chi lo pronuncia è Guido, zio Guido.
Oggi, un brillante ottantottenne con mille occupazioni e interessi: il lavoro (ancora) nella sua piccola impresa, l’impegno sociale e nella comunità parrocchiale della sua città, la lettura.
Ieri, partigiano per scelta.
Lucidissimo, idee chiare, obiettivi ben definiti, oggi come ieri.
Fine maggio 1943.
In città è esposto un manifesto di chiamata alle armi per la classe 1926: destinazione Germania, lavori leggeri.
Guido è affranto. Non pensa solo a sé, ma ai suoi genitori che hanno già visto partire un figlio l’anno precedente, passare dall’Albania alla Libia, cadere prigioniero degli Inglesi a El Alamein. Da allora, più alcuna notizia fino al termine della guerra.
Guido sa che deve decidere e anche in fretta: il 3 giugno, giorno della consegna in…