E’ stata un errore la salita in politica di Mario Monti. Questa considerazione non semplicemente alla luce dello scarso risultato ottenuto da Scelta Civica, ma per due altri ordini di ragioni. In primo luogo, la candidatura di Mario Monti ha servito su un piatto d’argento a Berlusconi la possibilità di fare campagna elettorale direttamente contro di lui, contro le sue politiche di rigore, contro l’IMU. Probabilmente il Cavaliere avrebbe fatto lo stesso se il premier, invece di spendersi in prima persona, avesse atteso di andare al Quirinale rimanendo fuori dalla contesa elettorale. Ma vogliamo mettere con quale maggiore forza Berlusconi ha potuto dare tutta la colpa della crisi al governo dei tecnici, trovandosi a tu per tu con Monti? Si noti che l’anticomunismo questa volta è stato un debole slogan, e che più di tutto ha potuto l’antimontismo. La seconda ragione per considerare la salita in politica di Monti un errore è stata il fatto che abbia sottoposto al giudizio elettorale non solo la sua Agenda, sulla cui bontà si può discutere e anzi si è discusso in campagna elettorale, ma il suo operato, cioè le riforme che a detta (non solo) sua ci hanno salvato dalla catastrofe. Col risultato che, se un futuro governo pensasse di cancellarle, lo potrebbe fare in forza della sonora bocciatura che il popolo ha dato al professor Monti (un vero e proprio contrappasso, dal momento che il premier, neanche un anno fa, diceva di voler “educare gli italiani”). Inoltre, sempre in virtù della bocciatura della lista Monti, conviene chiedersi se non ci siamo bruciati la possibilità di un governo tecnico in caso di future emergenze.
Ora la situazione politica è incerta, anche a causa di quell'errore. E francamente l'idea di un governo a matrice grillina non mi convince affatto. Ma oggi Andrea Ferraretto sulle pagine di T-Mag ci va cauto nei giudizi e rimanda le sentenze a data da destinarsi. Hai visto mai.
C’è un minimo comune multiplo che contraddistingue i parlamentari M5S, che si ritrova nelle esperienze vissute a livello locale e nell’impegno nelle battaglie classiche del Movimento contro il TAV, le discariche, l’utilizzo improprio del territorio, le grandi infrastrutture energetiche, per la difesa dell’ambiente e per l’acqua come bene pubblico. Una gran parte dei 163 sono laureati, svolgono attività imprenditoriali o professionale: vi sono medici, coinvolti nelle iniziative locali a tutela della salute dei cittadini; avvocati; molti sono coloro che operano nel settore dell’energia rinnovabile e della green economy. Si può dire che i 163 siano il risultato di decenni trascorsi in una situazione di blocco istituzionale, con l’incapacità manifesta di disegnare un strategia per lo sviluppo dell’Italia, dove innovazione significasse efficienza dello Stato e visione del futuro: per anni si è sentito parlare di grandi opere, leggi-obiettivo, ponti e autostrade ma, nel frattempo, sono state poche le soluzioni proposte per migliorare la mobilità, la gestione dei rifiuti, la produzione e la distribuzione dell’energia. I tanti piccoli disastri ambientali che contraddistinguono il territorio italiano, fatto di industrie che inquinano e danneggiano la salute dei cittadini e di opere incompiute, hanno fatto sì che, dal basso, si muovesse una risposta che dai comitati è cresciuta, formando un modo diverso di conoscere e affrontare i problemi. Problemi che, molto spesso, si sono tradotti in emergenze, diventate poi strutturali ma affrontate, sempre, con una logica che non ha mai fatto della prevenzione un obiettivo da raggiungere. Chiudere il dialogo con un movimento che ha dimostrato una capacità notevole nel coinvolgere e nel mobilitare le persone, innovando il modo stesso di condividere idee e programmi, puntando molto su una partecipazione bottom up, sarebbe uno dei numerosi errori compiuti in questi anni: va, piuttosto, riconosciuto un approccio politico che ha saputo fare delle modalità 2.0 un punto di forza, capace di scardinare una politica ingessata in rituali stanchi e obsoleti.