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Erwin Rommel, la volpe del deserto: mito germanico ideatore ed esecutore del Blitzktrieg?

Creato il 13 ottobre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Bundesarchiv_Bild_146-1985-013-07,_Erwin_Rommeldi Giuseppe Leuzzi. Curiosa figura di mito germanico, che identifica in lui, erroneamente, l’ideatore e l’esecutore brillante del Blitzktrieg, la guerra lampo. Responsabile della prima sconfitta dell’Asse, in Nord Africa, preludio allo sbanco alleato in Sicilia. E della sconfitta con sbarco in Normandia. Ma celebrato come un grande condottiero. Anche nella prima guerra mondiale non aveva brillato.

In Africa, se fu maestro lo fu del camuffamento. Carri armati costruì di compensato, legò rastrelli ai camion per fare polvere, schierò in battaglia i mezzi catturati al nemico, per confonderlo. Un  mago illusionista, nella marina borbonica sarebbe stato il Clausewitz dell’ammuìna. Che così mostrava agli inglesi dove si trovava: l’esposizione attraverso la mimetizzazione.

“Voglio prendere Alessandria”, diceva, “e pure il Cairo”. E fu l’inizio della fine. In questo è simpatico: il genio del Blitzkrieg che appronta disfatte vorticose per le armate nazi, si può farne un eroe della Resistenza, una quinta colonna. Si voleva anzi a Bassora. Nel Golfo Persico, novello Napoleone, davanti a sé vedendo solo mammalucchi.

Morivano i tedeschi nell’Africa Korps come mosche nella sua “guerra senza odio”, una buona metà già nella prima offensiva britannica del 1941, benché il maresciallo ne favorisse la ritirata sui camion dei fan-i italiani, che si dovettero fare a piedi Tobruk-Bengasi, duecento chilometri – i camion nelle tante ritirate erano riservati ai tedeschi, quelli che avevano la benzina, e quando gli italiani tentavano di aggrapparsi ai cassoni i bezerkir dell’Afrika Korps andavano al corpo a corpo, a pestare loro le mani. Distrutti nella prima offensiva anche tutti i carri armati tedeschi, quattrocento, e tutti gli aerei della Luftwaffe, mille. Così il favorito del Führer, di cui aveva comandato la guardia, divenne la gloria militare del Reich, e preparò la rincorsa dei britannici fino a Alamein, alle porte di Alessandria, a duemilacinquecento chilometri dal porto base di Tripoli – il suo genio gareggiava con quello di Graziani, che per primo aveva puntato allegro sul Cairo, riuscendo a lasciare agli inglesi centotrentamila prigionieri, un esercito, con quattrocento carri armati e 1.290 cannoni, mentre si lamentava con Roma di non avere mezzi sufficienti.

La gloria di Rommel si fa ascendere a un’azione di guerriglia il 6 ottobre 1917, quando, da solo, prese Longarone e novemila italiani prigionieri. Così la raccontava agli astuti teutoni e storici britannici. In Italia si appropriò anche del suo unico titolo di nobiltà: a Longarone, alla tomba della famiglia Molino, pretese di aver trovato gli antenati della moglie Lucie Maria Mollin, emigrati sette secoli prima. Ma l’eroico maresciallo disprezzava l’Italia. Si danno questa certezza i razzisti, che per il fatto di stare a Nord possano guardare il mondo dall’alto in basso.

Per disprezzo Rommel non tenne conto delle utili indicazioni che Nasser e Sadat, i nazionalisti egiziani, gli facevano pervenire sul fronte interno. Ma è vero che la liberazione dell’Egitto era l’ultima cosa che il generale voleva, anche se gli avrebbe fatto vincere la guerra. I bersaglieri gli regalarono il cappello piumato, Rommel non lo indossò mai. Nell’avanzata verso l’oceano Indiano che finì a Alamein furono gli italiani a prendere il fronte decisivo a Gazala, aprendo la via alla riconquista di Tobruk. Lui invece, nel mezzo dell’ultima battaglia se ne andò alle terme in Germania. Abbandonerà il fronte pure prima dell’ultima battaglia, a Mareth in Tunisia.

Sarà il comandante tedesco in Nord Italia dopo la caduta del fascismo, e bisognerà al confronto rivalutare i fascisti di Salò, nell’ottica “ariana” vigliacchi per essere italiani, che si scannarono feroci col resto d’Italia per difendere il culo a Hitler. Nei giorni dello sbarco in Normandia Rommel, comandante del Vallo atlantico che doveva ributtare gli Alleati in mare, se ne andrà a Berlino.

Vinse a Marsa Matruh, l’unica volta in Africa, perché i britannici scapparono nella confusione, bombardati dalla stessa Raf. Per un anno il capo guardia di Hitler fece guerra contro un comando britannico incapace e diviso, è tutta qui la sua gloria. Si divertiva a correre nel deserto, e per questo divenne famoso, ma tutti ne sono capaci, nel deserto lo spazio non manca. Nel mezzo della prima offensiva britannica si lanciò ebbro verso la frontiera egiziana, che non s’accorse di avere superato. Quando lo capì e tornò in Cirenaica ci trovò i nemici e dovette evacuarla: dalle tagliole britanniche lo salvarono ancora una volta i carri dell’Ariete. Ma fu un’eccezione: Rommel si fece forte in Africa contro avversari singolarmente inetti. I britannici usavano i carri armati come le squadre di calcio, tutte all’attacco. E ogni squadra faceva la sua guerra, i carristi non parlavano con gli artiglieri, i carristi e gli artiglieri non parlavano coi fanti, un corpo d’armata combatteva duramente e si scompaginava, quello accanto non se ne accorgeva neanche. Montgomery non è migliore?

A molti inglesi Montgomery non piace. Ma nessun inglese critica Rommel, che deve restare grande perché Alamein sia vittoria grandissima. È del resto vero, Rommel fu tanto volpe da rovesciare le sorti della guerra. Doveva essere il Silla della guerra a Hitler, dice Jünger – nella prefazione 1979 a “Giardini e strade” (l’ha detto pure prima?). Si capisce che sia fallita. “Era il solo capace di portare sulle spalle”, dice Jünger, “il terribile bilanciere della guerra e della guerra civile. Il solo che possedesse abbastanza ingenuità per replicare la spaventosa semplicità di quelli che doveva attaccare”. Beh, questo è vero. Ma Hitler per primo si voleva Silla – i tedeschi si vogliono greci e idealizzano il distruttore di Atene.


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