Erzelli, ecco come si tradisce il Paese: lo stato paga i licenziamenti

Creato il 20 luglio 2012 da Albertocapece

Sede Ericsson agli Erzelli

Ai massacri  sociali che impoveriscono il Paese e gli tolgono le risorse per una rinascita, si aggiunge il cinismo di una classe politica e dirigente che fa credere si tratti di qualcosa di transitorio, che l’anno prossimo ci sarà di nuovo la politica, la crescita e Babbo Natale. La cosa più desolante è la facilità in cui si abbocca a questa narrazione consolatoria, ma bugiarda, mentre con tutta evidenza le obbligazioni europee alle quali ci siamo stupidamente inchiodati, l’ideologismo finanziario a cui ci si è dati felicemente prigionieri, la svendita di beni pubblici, la progressiva umiliazione delle istituzioni scolastiche, gli stessi famosi “fondamentali” di cui tanto si parla sia a vanvera che con lingua biforcuta, delineano con chiarezza il modello a cui tutto questo tende: quello di un Paese impoverito, marginale, reso subalterno da bassi salari, bassa tecnologia, scarsi investimenti  e corruzione diffusa. Un mercato di braccia e di lavoro a modesto contenuto di sapere,  governato da un’oligarchia immobile.

Gli esempi cominciano a vedersi chiaramente e seguono sempre lo stessa schema: sottrazione di diritti e di salario in vista di competitività e di sviluppo che si traduce in chiusure e deindustrializzazione. Il tutto in mezzo agli applausi come insegna il caso Fiat. Ma c’è un caso ancora più esemplare che è rimasto nascosto tra le pieghe delle cronache di questi giorni, quasi un apologo dell’Italia che ci aspetta: un’incredibile storia che è accaduta a Genova con protagonisti l’Università, la Ericsson, la Regione e lo Stato dove superficialità, cattiva coscienza, vane speranze e prese in giro si  mischiano in una miscela letale.

Andiamo per ordine. Cominciamo con un pezzo apparso sul Secolo XIX il 16 maggio scorso: “Ericsson si trasferisce nel parco degli Erzelli, il nuovo polo italiano della tecnologia nato con l’obiettivo di riunire l’Università di Genova, le aziende e i centri di Ricerca&Sviluppo, creando una sinergia di competenze chiave per lo sviluppo futuro del nostro Paese. A Genova i ricercatori Ericsson contribuiranno a costruire l’Internet del futuro, le reti ultraveloci capaci di trasmettere dati a 10 terabit al secondo su fibra, le tecnologie ottiche che permetteranno di aumentare la velocità di trasmissione dati di 50.000 volte rispetto alle attuali.

Siamo nella fase illusionistica, quella in cui si ciancia delle magnifiche e progressive sorti del Paese e della città in vista delle quali bisogna stare tranquilli, sopportare e votare. Al fine di aprire questa porta sul futuro vengono dati alla Ericsson quasi 42 milioni di euro, di cui 14 a fondo perduto, ossia regalati, senza contare gli 11 della Regione, desiderosa di cominciare a popolare il parco tecnologico degli Erzelli, un grumo di edifici in mano alla speculazione bancaria. Tutti soldi ben accolti dalla Ericsson che ufficialmente voleva trasferire la sua sede genovese in un luogo più “adatto” e lì radicare la sua Ricerca&Sviluppo.

Sulla carta tutto perfetto e meraviglioso, tanto che le autorità statali e regionali fecero spallucce quando i sindacati chiesero di inserire a fronte della “donazione” un impegno della Ericsson a mantenere i posti di lavoro. Ma come si permettono questi retrogradi, fuori dalla modernità, di mettere intoppi a un’operazione che ci porta dritti nel cuore del futuro? Mi sembra di vedere lo sguardo indignato di Ichino e dei suoi compari indignati per questo affronto.

Se non che, meno di due mesi  dopo aver preso i soldi, la Ericsson annuncia il licenziamento di 374 dipendenti delle sue sedi italiane tra cui 94 a Genova proprio nel settore della ricerca e sviluppo e in particolare nel campo delle tecnologie ottiche.  Si scopre così che l’azienda svedese si è fatta finanziare i suoi licenziamenti con i soldi pubblici e che la manfrina del futuro non era altro che un trucco per vendere la vecchia sede nell’ambito di una speculazione immobiliare di vecchissimo stampo. La realtà in tutto il suo squallore e il suo vecchiume fa irruzione: l’unica cosa avveniristica e sospetta è la velocità fulminea con la quale tutto è avvenuto a nemmeno due mesi dall’inaugurazione della nuova sede.

Naturalmente ora sono tutti si dicono stupefatti  e indignati, proprio quegli stessi che avevano rimbeccato i sindacati con la loro assurda pretesa di inserire una clausola per il mantenimento dell’occupazione, non si sa se per contiguità ideologica con il governo, stupidità o collusione. E state tranquilli che saranno stupefatti anche quando la Fiat abbandonerà definitivamente l’Italia o quando il Paese, curato con tanta accortezza, andrà in bancarotta. Anzi saranno stupefatti e anche un po’ indignati.


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