Quando qualcuno mi insulta in mezzo alla strada perché magari gli ho fatto una sgarberia in macchina, o non l’ho lasciato passare da qualche parte in cui pensava di dover passare prima di me, e mi rovescia addosso una quantità schifosa di insulti, io vorrei che quel qualcuno venisse a sedere al tavolo di un’osteria con me e che si facesse offrire un bicchiere di vino, e che mi raccontasse di sé e che mi chiedesse di me, che fosse una conversazione tra due persone umane e non tra due cani che latrano, finché non dimostriamo l’uno all’altro che ci siamo sbagliati, che bere vino è molto più piacevole che ringhiare, che in realtà non sempre è lo spavento che ci fa scattare, anzi, qualche volta è soprattutto la mancanza di qualcosa, di qualunque cosa, anche di un momento di pace.
Giuseppe Berto, ne Il male oscuro, a pagina 167 dell’edizione BUR che ho comprato io, scrive queste parole:
In conclusione dunque questo esaurimento era un bel mistero per quanto tutti sapessero tutto di ciò ossia non solo i medici da diecimila lire e quelli da cinquemila ma anche gli amici sia miei che di mia moglie ciascuno dei quali aveva già avuto l’esaurimento o lo aveva tuttora, e anche molte persone incontrate per caso al caffè o all’uscita dei cinema avevano avuto l’esaurimento esse stesse o almeno qualche loro parente stretto, e in questa grande abbondanza io non faccio in tempo a dire di qualche mia fobia come tanto per citarne qualcuna quella dell’ascensore o della nave o delle partite di calcio o dei concerti che subito salta fuori uno che ha la medesima cosa o lo zio con la medesima cosa, perfino quando mi invento una di queste fobie tanto per darmi arie, come ad esempio la fobia del sesto piano per cui al quinto o al settimo ci posso anche andare ma al sesto no, perfino in questo caso dico vien fuori uno che giura di aver avuto tale e quale la stessa stravaganza e naturalmente sa come guarirla.